Una notissima catena di abbigliamento, diffusissima in Italia ed in Europa, ha messo in vendita una maglietta a righe bianche e azzurre con appuntata in petto una stella di colore giallo. Questo il fatto.
Può una semplice maglietta avere l’effetto di una bomba? Apriti cielo, si è sollevato il solito e giusto coro unanime d’indignazione. Immediatamente le bacheche dei social hanno comiato a straripare di epiteti di ogni tipo verso l’azienda produttrice e rivenditrice dell’oorendo capo di abbigliamento. Tutti a strapparsi i capelli perchè non è possibile mettere in atto un’ azione così bieca che richiama la casacca che gli ebrei erano costretti a portare nei campi di concentramento. Giù una fiumana di commenti e persone che, direttamente da sotto l’ombrellone, si accolorava ancora di più verso chiunque dicessa qualcosa non in linea con il sentimento di ripugnanza nazionale per l’ignara maglietta.
Noi, volontariamente, non intendiamo entrare in una disputa che riteniamo poco di più che di lana caprina, ma vorremmo ancora una volta sottolineare con l’evidenziatore giallo e verde, nella maniera più fosforescente possibile, la pacchianaggine dei tempi che viviamo e il gusto dell’orrido dell’accapigliarsi su tutto, tranne che su quelle che dovrebbero essere le fondamenta di battaglie sociali e politiche.
Oggi basta dire qualcosa di “non-politically-correct” su tematiche – importantissime ma strumentali – come quelle che riguardano immigrati, rom, ebrei, gay, ed immediatamente si mette in moto la macchina della banalizzazione che sommerge tutto in un gattopardesco impeto a cambiare tutto per non cambiare nulla. Tutti a discutere, tutti ad azzuffarsi, risse colossali e ripicche pubbliche e private
– tutte sul filo del web e di quei cortili telematici che sono i social -.
Cui prodest? In questo caso all’azienda (che volontariamente non nominiamo) che si è fatta una bella pubblicità gratuita e poi, contrita, ha ritirato ‘l’ignobile capo’.