L’autrice prende spunto dalla storia di Paska Devaddis, che ancora fanciulla, accusata di omicidio, è costretta alla latitanza sui monti dove raggiunge il fidanzato bandito. La sua figura e la sua vicenda si inscrivono nella desamistade, una terribile faida fra le famiglie Cossu e Corraine nel territorio di Orgosolo, agli inizi del Novecento, durata 12 anni. Alla sua morte per tubercolosi, accaduta pochi anni, dopo la famiglia la riportò a casa per piangerla e tributare onori alla sua verginità intatta, sfidando forze dell’ordine e autorità locali.
Emma Fenu reinterpreta la storia, ribattezza Paska in Franzisca – forse memoria e omaggio al Supramonte di De André – e restituisce paesaggi e ambienti, relazioni e realtà, moventi generati all’interno di una società sostenuta dalle donne in un mondo in cui gli uomini sono assenti, confinati al pascolo o sulle montagne della latitanza. Donne che però si fanno interpreti di una cultura imposta spesso dagli uomini ma pienamente da esse accettata che tramanda la vendetta e l’odio. Donne custodi del focolare e della tradizione, delle leggi ataviche, padrone della vita e della morte o, almeno quando non le dominano, capaci di accettarla e a farsene custodi.
Donne che uniscono una natura fiera e indomita da bestie selvagge, indurita dal duro lavoro della sopravvivenza, a una femminilità di latte e miele capace ancora di insepolte tenerezze. Donne che accettano un duro destino di solitudine e fatica, di ventri offesi e agnelli-figli sacrificati ma che, a volte, tornano col pensiero e in sogno, a una sorte diversa di sguardi miti, amore, balli e feste non ancora segnate dalla crudeltà di un fato ineluttabile. Forse nascondono antiche speranze di terre e pascoli indivisi dove altro era il senso del vivere comune. Dove balentes erano i saggi, e non i banditi, che sapevano governare con giustizia anche senza la spada, in cui le parole e il canto valevano più del sangue. Utopia di una terra ancora non violata da colonizzazioni e conquiste, imposizioni a forzare e rinchiudere i passi di chi sulla terra passava leggero*, danzando con le stelle.
Qualche parola resta nel cuore e nella vita delle donne, a curare ferite, ad accompagnare, a volte a portare, la morte. Parole dette, cantate, mescolate con grida o con sussurri ad erbe e miele, oli e lacrime negate, pratiche ereditate.
Parole che Emma Fenu riscopre e reinventa riallacciandosi alle antiche madri, alle janas, alle dee, tessendo insieme -per raccontarci col suo linguaggio onirico e lirico, con senso dell’epico, sottolineato da proverbi e detti in lingua sarda all’inizio di ogni capitolo- una storia fra realtà e magia, storia e mito, favola e leggenda.
Spose della Luna, le chiamano, soggette al tempo e al cambiamento, spose e figlie di chiarore ed eclissi. La Luna,che “sapeva rinascere presto in forma di falce. Falce che stronca vite, falce di parca spietata. Ma anche falce di Cerere che taglia le messi bionde che daranno farina”.
Anche la natura si investe di un’aurea di mistero e antropomorfismo, non solo di uomini o animali come molte rocce di Sardegna, ma di un antropomorfismo dei sentimenti, espressione di desideri e paure, rivelazione di una realtà che sottende a ciò che si coglie solo con lo sguardo.
Se c’è una salvezza, per questa terra aspra, densa di celidonie e di spineti*– come diceva il poeta – questa è nelle mani di donne giovani e pure, anche se inconsapevoli e immesse a forza nelle leggi degli adulti, donne o uomini che siano, capaci di spezzare il cerchio della vendetta e della violenza. È in Franzisca, nel suo amare ed essere amata, nel suo desiderio di maternità, è nella sua verginità che mi piace pensare simbolica, terra da arare e seminare e non da violare; è in Mallena, che non sa quello che vede, quello che fa, ma è troppo tenera per opporsi al volere di altri, è nella sua voglia di amare.
È nel perdono, acqua che purifica il sangue ed il legato.
* Emma Fenu, Le Spose della Luna, Officina Milena Edizioni, 2020
*Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri, 1996
*Gabriele D’Annunzio, La Spendula