L’urbanistica attuale tende a recuperare oggi il significato antico della piazza come luogo chiuso cercando però di rispondere anche ai bisogni urbanistici odierni. E per questo ci propone tre modelli di piazza: di traffico, di utilità, di soggiorno. La prima tipologia non corrisponde a una piazza vera e propria, ma a uno slargo disposto lungo grandi snodi stradali con il compito di facilitare il traffico. Per permettere il funzionamento dei grandi edifici pubblici (stazioni, ministeri, poste, palazzi di giustizia, teatri, chiese, mercati) servono le piazze di utilità che permettano il facile accesso agli edifici, il rapido sfollamento, la sosta che non intralci il traffico e devono sorgere vicino alle grandi arterie ma distaccate da esse, quindi essere chiuse e con possibilità di traffico tangenziale. Come si vede riprendono in un certo senso il canone della piazza medioevale e rinascimentale a tutela di un edificio principale intorno al quale ruota tutto.
Come ultime abbiamo le piazze di soggiorno, dove si affacciano bar, ristoranti, locali di ritrovo, in cui è possibile sostare, svagarsi, ammirare il panorama. Spesso questi spazi hanno belvedere sul mare o sul lago o sono porticati nelle città termali o a grande escursione termica, come per esempio quelle dell’Emilia Romagna, vere e proprie sale di soggiorno all’aperto. L’urbanistica moderna ha inoltre quasi del tutto abolito la piazza-giardino, collocando gli spazi verdi in zone più salubri e totalmente lontane dalle zone di traffico.
Anche per le grandi adunate di pubblico a eventi, spettacoli, concerti, la città moderna propone non piazze urbane ma spazi appositi come grandi prati, campi, arene, stadi, spesso in luoghi periferici, dove è possibile gestire la folla con una certa sicurezza.
L’urbanistica moderna inoltre ha frammentato le varie funzioni della piazza in luoghi differenziati e spesso vicini, allontanandosi cosî dalla monotonia della’edilizia ottocentesca, riavvicinandosi invece alla vivace e duttile creatività del Medioevo e del Rinascimento.
Eppure molte di queste piazze nuove che la moderna architettura progetta nello spazio urbanistico pure se esteticamente apprezzabili, pensiamo a Piazza Gae Aulenti, a Milano, appaiono per certi aspetti inadeguate a soddisfare i bisogni emozionali e di comunicazione della comunità urbana. Questi sono apparentemente demandati a spazi chiusi come nei grandi centri commerciali, dove peró la sosta è piú legata al consumo che allo scambio delle esperienze: qui infatti si aprono negozi, cinema, bar, spazi-gioco, la cui prima funzione è di tipo commerciale e dove è quasi impossibile trovare occasioni di socializzazione, spazi di libertà e di contatto come solo un luogo aperto, una piazza o un giardino, puó dare.
Lo spazio-piazza diventa cosí, non il luogo deputato alla soddisfazione di bisogni reali e imprescindibili, ma un ambiente di chiusa virtualità dove all’oggettività del bisogno si sostituisce la soggettività del desiderio. L’architettura moderna ricorre alle tecnologie piú avanzate per creare queste piazze quasi virtuali nella loro funzionalità illusoria, legata al flusso dei desideri indotti e dei conseguenti consumi. Ne deriva una spazialità mobile, fatta piú di arredi multifunzionali che si piegano all’uso di eventi programmati che di strutture architettoniche che disegnano lo spazio della realtà, della visione, dell’azione e del movimento, favorendo quelle forme di aggregazione, comunicazione e partecipazione che costituiscono il ritmo vitale della città.
Questa perdita di senso che il concetto di piazza soffre ha radici lontane se pensiamo a quanto ci racconta W. Gropius, nel suo testo: Discussione sulle piazze italiane, del 1954. Egli ci riferisce che, durante un viaggio in Messico, aveva fatto esperienza dell’intensa vita che si svolge nelle città messicane, dove in piazze grandi, con i portici tutt’ intorno, gli abitanti trascorrono molte ore celebrando tutti i riti urbani dell’ incontro: fanno acquisti, passeggiano, chiaccherano, si corteggiano etc. Tornato a casa aveva proposto ai suoi allievi di studiare come questo tipo di piazza favorisca la comunicazione, ma i suoi allievi avevano rifiutato tale proposta, perché non conoscevano realtà di quel tipo che potessero servir loro da riferimento, e quindi non possedavano parametri per analizzare simili contesti.
Che cosa è cambiato da allora e soprattutto ci sono realtà geografiche e socioculturali differenti dove quanto espresso da quegli studenti non sia vero? La città moderna ha perso il suo baricentro? Non fa più perno sulla piazza?
Analizziamo come esempio la realtà del Sud d’Italia, quella rete di piccoli paesi dove il tempo sembra scorrere piú lentamente. Eppure anche qui la modernità ha scardinato lo spazio della piazza: quasi sempre solo gli anziani vi sostano, continuando a fruirla come luogo dell’incontro e della comunicazione. Ma per far questo scelgono le vecchie piazze e snobbano le moderne. Vedasi il caso di Gibellina dove le moderne piazze costruite dopo il terremoto sono deserte. I giovani stanno altrove, nelle discoteche, nelle sale-giochi, nei centri commerciali, agli angoli delle strade per il tempo ristretto della decisione su dove trascorrere la serata. Oppure davanti a una tastiera, a un blog, a un forum telematico, in quella piazza virtuale che è la rete.
Che cosa dunque la piazza moderna non offre piú né agli adulti né alle giovani generazioni? In che modo un’edilizia, carente di progetti funzionali alle necessità della modernità, è corresponsabile di questo fenomeno d’abbandono dello spazio tradizionale della comunicazione sociale e dell’incontro?
Howard Rheingold, psicologo contemporaneo, studioso delle tecnologie della comunicazione, negli anni ’90, affermava che le agorà telematiche permettono, come vere e proprie comunità, l’espressione di un’esigenza comunicativa che ha come protagonista l’immaginazione. Il gruppo sociale virtuale si costruisce infatti intorno a questa facoltà di immaginare l’altro, condividendo idee e esperienze.
Possiamo allora affermare che la piazza ha cessato d’essere per i giovani il luogo dove il cittadino riceve connotazione e forza, permettendo l’espressione della propria socialità? Se, come abbiamo visto, la piazza rimanda al concetto stesso di comunità, come luogo dell’incontro, della dinamica sociale e delle relazioni interpersonali, è possibile che la piazza virtuale si sostituisca totalmente alla piazza reale?
Noi crediamo di no, crediamo che le due piazze possano e debbano coesistere, rispondendo a bisogni differenziati ma precisi: l’uomo è ancora e sempre l’animale sociale aristotelico, ma oggi anche l’animale simbolico e semiotico di Ernest Cassirer. Siamo fatti per interagire e per produrre codici che creano e interpretano la realtà. Abbiamo bisogno di linguaggi, di idee, di spazi che consentano all’individuo di sentirsi parte di una comunità legiferante e operante, di definire e trasmettere valori condivisi che promuovano la crescita dei singoli e della società. Ma siamo anche il nuovo uomo globale il cui paese originario si è allargato al mondo.