Si tratta di un metallo appartenente al gruppo del ferro dall’estrema malleabilità e duttilità.
E’ un materiale molto diffuso, contenuto in moltissimi oggetti di quotidiano utilizzo come bigiotteria, bottoni, cerniere, chiavi e molto altro ancora. Quando si ha a che fare con l’alimentazione, la problematica nichel diventa più delicata, la sua presenza, infatti, non si esaurisce nella composizione del singolo alimento da evitare; la questione è molto più complessa in quanto il metallo inficia, talvolta, il processo di produzione e conservazione degli alimenti che arrivano sulle nostre tavole.
Il nichel è presente nelle acque, viene rilasciato dalle centrali elettriche, dagli inceneritori di rifiuti, dunque, l’ambiente circostante ne è spesso ricco ciò genera la sua presenza in molti degli alimenti che consumiamo quotidianamente, oltre che nella maggior parte degli alimenti confezionati, detersivi e cosmetici. Oltre che inficiare i prodotti destinati al consumo, il nichel è uno dei principali ‘sottoprodotti’ dell’industria dell’inquinamento.
Si ritrova non di rado nei carburanti per il riscaldamento, nel fumo delle sigarette e nel gas di scarico delle automobili oltre che presente per la costruzione di leghe in metallo, comprese quelle da conio.
La presenza indiscriminata di questo metallo in quasi tutti i prodotti che conosciamo ha generato un aumento esponenziale dei casi di intolleranza e allergia al nichel.
Non volendo entrare nel merito delle differenze fra allergie e intolleranze ci limitiamo a dire che un allergico al nichel avrà sintomi molto più evidenti rispetto al soggetto intollerante. C’è da dire che l’allergia al nichel si manifesta principalmente con sintomi da contatto, ossia quando alcune parti del corpo incontrano del nichel; è definita, talvolta, come allergia da accumulo, poichè nei soggetti che hanno fatto un largo utilizzo di oggetti contenenti nichel basta una piccola percentuale di metallo per generare la reazione allergica.
L’intolleranza, diversamente, si manifesta dopo aver mangiato alimenti contenenti il metallo incriminato. Questa condizione può essere, a differenza dell’allergia, temporanea e soprattutto ripristinabile con una dieta accurata.
La sintomatologia può variare da soggetto a soggetto, tuttavia, i sintomi più diffusi sono, oltre a pruriti e dermatiti, stanchezza, infiammazione gengivale, nausea, mal di testa, gonfiore addominale. Bisogna stare molto attenti se in presenza di un’intolleranza del genere poichè il nichel, oltre che presente in molti alimenti, nell’ industria alimentare è usato come catalizzatore nel processo di idrogenizzazione di alcuni grassi.
Oggi, l’uso dei grassi vegetali idrogenati è molto diffuso; questi, in effetti, sono pubblicizzati come alternative agli oli e quindi considerati, o quantomeno pubblicizzati, come più salutari e leggeri. Gli esperti, tuttavia, hanno verificato l’effettiva correlazione fra l’uso di questi alimenti, specialmente prodotti preconfezionati e l’abbassamento della soglia di tollerabilità immunitaria.
Al bando dunque:
Margarine: grassi vegetali idrogenati per definizione.
Prodotti in sacchetto: crackers, biscotti, fette biscottate, grissini, patatine fritte, arachidi e noccioline tostate.
Pani speciali: Come quelli conditi, all’olio, numerosi pani integrali, le fette da toast, le focacce, le fette biscottate, i crostini
Cioccolato, gelati caramelle: dove i grassi sono presenti come stabilizzanti ed emulsionanti.
Nel cioccolato è presente il burro di cacao, che è comunque un grasso vegetale trattato.
Pasticceria industriale: biscotti, brioche, merendine, torte, pasticcini, snacks.
Frutta secca e semi oleosi: mandorle, nocciole, pistacchi, pinoli, arachidi, noci, sesamo, cocco essiccato, semi di lino, di zucca o di girasole.
Dadi da brodo: anche quelli solo vegetali e condimenti alternativi a base di sesamo
Fritti e grassi cotti: la degenerazione degli oli indotta dal calore può provocare la formazione di acidi grassi ‘trans’, cioè di quella peculiare disposizione delle molecole che sembra maggiormente responsabile dei danni prodotti dai grassi vegetali idrogenati.
Per la diagnosi dell’intolleranza al nichel esistono due tipologie differenti di test:
Alcat test: si tratta dell’unico test attualmente riconosciuto dalla FDA (food and Drug Administration) e dalla Comunità Europea.
Si realizza in tre fasi:
in prima battuta è necessario assicurarsi che il paziente sia in salute attraverso i prelievi di routine, successivamente, si procede con un prelievo venoso con il quale saranno analizzate le varie modifiche in di una famiglia dei globuli bianchi quando a contatto con le sostanze testate. In base al risultato, poi, saranno indicate al paziente le linee guida alimentari da seguire in modo da recuperare gradualmente la tolleranza.
Patch Test:
un test prettamente allergologico per determinare se una sostanza provochi o meno una reazione allergica della cute. In questo caso il medico si occupa di applicare sulla zona dorsale del paziente alcuni dischetti contenenti il potenziale allergene; dopo circa 48 ore tali dischetti saranno rimossi e analizzata la reazione. In alcuni casi, l’intolleranza al nichel può essere evidenziata con questo test in quanto causa eruzioni cutanee come la dermatite.