Ci sono nelle storie personali, nella grande Storia, nell’arte, nella letteratura, momenti di accensioni della creatività che sembrano essi stessi un’invenzione poetica, un racconto dell’impossibile. Circa duecento anni fa, nel 1816, a Villa Diodati, sul lago di Ginevra, in notti di tempesta dal sapore “gotico”, un gruppo di uomini e donne si sono sfidati a una “singolar tenzone”, scrivere un romanzo che esprimesse le loro paure più segrete.
Seduti intorno a una tavola imbandita, con tovaglia ricamata, cristallerie, porcellane, cibo e vino pregiato, su divani di broccato e velluto appena rischiarati dalla luce fioca dei candelabri, dal pallore spettrale della luna, dalle fiamme del camino, straordinari talenti, alcuni ancora da scoprire, trascorsero giorni di un’estate anomala. L’esplosione del vulcano Tambora nelle Indie Orientali aveva prodotto in tutta Europa un cambio climatico significativo. Le polveri vulcaniche avevano oscurato e cancellato l’estate del 1816 con tempeste continue, piogge incessanti e persino neve.
Lord Byron, John William Polidori, suo segretario, Percy Bysshe Shelley, Mary Shelley, la sua sorellastra Claire Campion, amante di Byron, una comitiva geniale, inquietante e trasgressiva, preda del demone della scrittura, vivranno a Villa Diodati, affittata da Byron, una vacanza in comune che li segnerà per sempre. Ma soprattutto per due di loro, John W. Polidori e Mary Shelley, quei giorni rappresenteranno una potente affermazione di sé. Entrambi infatti erano vissuti fino a quel momento intrappolati nella suggestione ammirata di un “altro”.
Polidori, giovanissimo, aveva viaggiato con Byron per tutta l’Europa, affascinato dalla sua personalità e dal suo talento, ma anche perché il poeta si era mostrato interessato ad alcune sue composizioni poetiche e gli aveva promesso che lo avrebbe trattato come un suo discepolo. Ben presto però il ragazzo, aveva solo 19 anni, si rese conto che Byron era un egoista manipolatore che lo sfruttava come segretario senza concedergli nessuno spazio.
Quanto a Mary, prima amante e poi moglie dell’altro grande poeta presente alla riunione, Percy Shelley, era scappata con lui dall’Inghilterra, dopo che lui aveva abbandonato moglie e figli e suo padre lo aveva diseredato, non solo per questo, ma anche per le idee radicali che avevano allontanato Percy dalla sua ricca e aristocratica famiglia. Mary per tutta la sua vita, anche dopo la morte del marito, continuò a occuparsi della promozione delle opere di lui come delle sue, ma in quelle sere a Villa Diodati trovò la sua strada di scrittrice, la sua autonomia di donna e la forza morale di sostenere attivamente i principi di quella politica radicale che condivideva con suo marito ma che aveva imparato dai suoi genitori. Mary infatti aveva ricevuto un’educazione speciale, molto libera, per una ragazza di quei tempi: suo padre era William Goldwin, filosofo e politico radicale e sua madre, di cui portava il nome e il cognome, Mary Wollstonecraft, filosofa antesignana del femminismo, era l’ autrice di “Rivendicazione dei diritti della donna”, libro che Mary rilesse costantemente per tutta la vita.
In quei giorni e in quelle notti a Villa Diodati, rinchiusi in casa da un tempo ostile, i cinque conversarono sui temi allora in auge, come gli esperimenti di Erasmus Darwin, il galvanismo, il potere dell’elettricità per ridare vita alla materia inerte e lessero nella versione francese le storie tedesche di fantasmi contenute in un’antologia chiamata “Fantasmagoriana”. Lord Byron propose il gioco della scrittura: una storia di fantasmi che incutesse terrore più di qualsiasi altra scritta fino a quel momento.
Dal talento e dalla penna di Polidori uscirà “Il vampiro”, affascinante e terribile prototipo di tutti i vampiri successivi, nel quale l’autore raffigurò Byron, il grande poeta che lo aveva deluso, rivelandosi un uomo capace di succhiare energia vitale e distruggere, per il suo piacere, chiunque gli stesse intorno. La mostruosità su cui Polidori lavorò, utilizzando come ispirazione il gigantesco Super-Io del suo “padrone”, fu la relazione di sudditanza e oppressione psicologica che alcuni uomini dotati di potere, talento e ricchezza, possono arrivare a imporre ad altri, fino ad ucciderne la volontà e l’anima. Nel romanzo questa sopraffazione diverrà il sangue che il “Non morto” succhierà agli altri per sopravvivere.
Per Mary, invece, la paura nasceva nell’ambito del limite umano, di fronte a un mondo che cambiava rapidamente (siamo agli albori della Rivoluzione industriale). Il timore era quello di non poter dominare questo cambio né controllare l’arrogante ambizione umana che lo accompagnava. Il suo romanzo “Frankestein” si addentra a esaminare il delirio di onnipotenza del suo personaggio, il dottor Frankestein, che progetta addirittura di sconfiggere la morte, dando vita a una Creatura che si rivelerà mostruosa, infelice e per questo vendicativa.
La personalità schiacciante di Byron e Shelley tenterà di agire su Polidori e Mary anche quando i loro libri saranno pubblicati, attraverso un’opinione pubblica e una critica letteraria che considereranno i loro romanzi come scritti, non da loro, ma dai due famosi poeti, nonostante questi non si fossero mai cimentati con la prosa. “Il vampiro” e “Frankestein” ebbero in seguito, con la corretta attribuzione di paternità letteraria, uno strepitoso successo. E nessuno da allora pose mai più in dubbio il loro valore, al punto che i loro indimenticabili protagonisti, nati nelle fredde notti di un’estate “negata”, sono divenuti, nella letteratura mondiale, icone letterarie e psicologiche di quell’Ombra che, come dice Jung, ci abita e ci definisce.