In Italia è molto complicato misurare la ricchezza netta delle famiglie, ma alcune nuove ricerche che incrociano diverse fonti di dati, mostrano innanzitutto che la quota di ricchezza netta personale detenuta dal percentile più ricco della popolazione adulta (l’1%) è cresciuta in Italia da circa il 16% nel 1995 ad oltre il 25% nel 2014 e contemporaneamente è diminuita la quota di ricchezza nelle mani della metà più povera della popolazione italiana (e parliamo di qualche decina di milioni di persone), che possiede solo il 5% della ricchezza complessiva.
La ricchezza netta è in altri termini ciò che si possiede, beni immobili, attività finanziarie, risparmi accumulati ed ereditati nel corso della vita. La ricchezza netta genera a sua volta redditi in termini di affitti, dividendi, rendite, e consente alle persone maggior benessere nel medio e lungo termine e anche maggiori possibilità di istruzione, formazione, e di scelta nella selezione dell’occupazione.
Un altro studio recente approfondisce anche il divario di genere all’interno degli squilibri nella concentrazione della ricchezza, giungendo alla conclusione che in media la ricchezza detenuta dalle donne è inferiore del 25% a quella degli uomini.
L’analisi di G. D’Alessio, infatti, dimostra come, anche quando si parla di ricchezza delle famiglie, si sottostima lo svantaggio di genere e di generazione: “gli indici di concentrazione della ricchezza netta individuale sono ampiamente maggiori di quelli calcolati sulla ricchezza familiare o sulla ricchezza pro-capite, che ripartisce in parti uguali la ricchezza familiare. Ciò evidenzia il ruolo redistributivo della famiglia, che assorbe una parte significativa della variabilità tra gli individui, inclusi i minori”.
La disuguaglianza intra familiare della ricchezza, spiega D’Alessio, si affianca – ed è in parte collegata – a quelle più frequentemente esaminate relative ai tassi di occupazione, alle tipologie lavorative e ai salari. Inoltre molti studi dimostrano che una ripartizione squilibrata della ricchezza all’interno della famiglia – che svantaggia le donne – ha ripercussioni sostanziali sui figli, poiché le mamme tendono ad utilizzare maggiori risorse per la salute e l’istruzione.
Quindi uno squilibrio di ricchezza tra donne e uomini all’interno di una famiglia con figli genera a sua volta squilibri generazionali, perché riduce il benessere dei minori e aumenta il rischio di povertà educativa e trasmissione dello svantaggioalle giovani generazioni.
Questo squilibrio di ricchezza tra donne e uomini, che queste nuove ricerche riescono ora a dimostrare, aggiunge a nostro avviso un ulteriore tassello esplicativo al quadro sia delle povertà minorili che si sono impennate degli ultimi anni, sia alla tendenza a procrastinare e a fare meno figli di quanto non si desideri da parte delle donne in atto ormai da qualche decennio.
Nelle analisi e nei Rapporti di Save the Children si indaga infatti ormai da anni gli squilibri e le disuguaglianze tra le famiglie in Italia, divari che relegano sempre più bambini e adolescenti, insieme ai loro genitori, in un’area di esclusione e deprivazione crescente.
Negli ultimi 10 anni, in Italia, sono aumentate le disuguaglianze e le povertà: una parte più ampia della popolazione è scivolata in una condizione di vulnerabilità – sono oltre 5 milioni le persone in povertà assoluta – e diverse analisi mostrano che, nello stesso periodo, la disuguaglianza nei redditi è aumentata. Non ci stanchiamo però di sottolineare come la povertà abbia colpito in particolare i bambini sotto i 18 anni (da 1 su 30 nel 2007 siamo ormai a 1 su 8), e quanto sia difficile per molte donne essere madri, dati gli squilibri di genere presenti nel mercato del lavoro, nelle politiche economiche e negli interventi sociali.
Nell’ultimo rapporto di Save the Children sulle Mamme Equilibriste, si è raccontato come l’organizzazione e la precarietà del lavoro non consentano a molte madri di lavorare quanto sarebbe necessario o quanto desidererebbero per sviluppare le proprie aspirazioni e capacità. Innanzitutto perché i servizi di conciliazione spesso non sono disponibili o di facile accesso.
E’ indicativo in questo senso il dato sui tassi di occupazione femminili, perché se per le donne dai 25 ai 49 anni senza figli è del 70,9% – quindi in linea con molti paesi europei – per le donne con figli cala drasticamente al crescere del numero dei figli: scende al 62% quando si ha un figlio, al 52,6% con due figli e al 39,7% con tre o più figli. Se consideriamo gli stessi tassi per gli uomini (89,2%, 89%, 82,9% con uno, due, tre o più figli) risulta chiaro come le difficoltà di conciliazione tra vita privata e lavoro ricadano nella quasi totalità dei casi sulla componente femminile della coppia genitoriale.