“L’uso delle parole è per Monica Florio una questione etica che si fa stile e compostezza della narrazione”, sintetizza Antonio Fresa nella sua lucida recensione al romanzo Acque torbide (ed. Cento autori, 188 p., € 12.00), presentato dalla scrittrice napoletana presso Mooks Mondadori.
Ed è così. Monica Florio non cerca asperità di scrittura né insegue effetti speciali. I suoi romanzi sono tutti caratterizzati da uno stile narrativo suadente perché apparentemente semplice, piano nella sua sintassi senza scarti e nel suo lessico comune ma attentamente preciso.
Questo modus scribendi, concepito soprattutto per un lettore adolescente, raggiunge anche il lettore adulto e smaliziato, un po’ come certi romanzi per ragazzi – Le avventure di Pinocchio, Le petit prince, etc. – che sono poi diventati classici della letteratura.
Ora, il motivo per cui leggiamo ancora con interesse il capolavoro di Collodi o quello di Saint-Éxupéry non sta solo nello stile, ma nel fatto che questo stile è espressione di una precisa poetica. Questi testi, infatti, come la critica più recente ha chiarito, indagavano su problematiche educative o esistenziali molto vive nell’epoca in cui furono scritti. Ad esempio Pinocchio, insieme con Cuore di De Amicis, rispondeva a precise esigenze didattiche e formative dell’Italia postunitaria.
Così, le storie narrate dalla Florio rispondono immancabilmente a un’etica moderna, improntata al rispetto della persona, che è tutto sommato il miglior portato rivoluzionario dall’Illuminismo ad oggi. È un’etica del rispetto, che si è fatta strada e ancora si fa strada a fatica, con molti passi indietro e qualcuno in avanti, ma che sta conquistando lentamente buona parte dell’umanità di oggi e sta insediandosi stabilmente nei più avanzati sistemi legislativi (ultima l’Italia con la legge sulle unioni civili).
Monica Florio è un’operatrice culturale che si occupa prevalentemente di disagio dal punto di vista sociologico. Qualche titolo e qualche notizia su sue precedenti pubblicazioni può illuminare i suoi interessi:
Il guappo nella storia, nell’arte, nel costume (Kairòs 2004), un saggio utilizzato oggi anche all’Università, che ricerca nella popolare figura negativa della cultura napoletana aspetti positivi che preludono in qualche modo a una più tollerabile, se non più giusta e moderna, concezione della vita; La rivincita di Tommy. Una storia di bullismo omofobico (La Medusa, 2014), il cui sottotitolo evidenzia già la problematica trattata; e ancora Puzza di bruciato, un “giallo umoristico” che (attingiamo dal risvolto di copertina) “allude all’emarginazione colta nelle sue sfumature – genetiche, sociali e sessuali – e racconta il percorso di maturazione” del protagonista che, grazie all’incontro con i libri, “acquisirà uno sguardo libero da pregiudizi su di sé e la realtà che lo circonda”.
Ai nostri giorni, se la letteratura, il cinema, il teatro possono qualcosa, lo possono appunto nel verso della lotta ai disvalori quali il razzismo, l’omofobia, la soggezione della donna all’uomo, la mancanza di rispetto per i bambini e gli adolescenti. In quest’ultimo ambito invita a ragionare Acque torbide, che mette al centro della narrazione un tredicenne forse un po’ goffo, tanto da essere preso in giro dai compagni, ma in realtà tanto capace e sveglio da intuire verità che sfuggono agli adulti, i quali viceversa sono ciechi perché immersi nella soddisfazione delle loro segrete e frustrate ambizioni.
Ma Acque torbide è prima di tutto una lettura gradevole. Si legge d’un fiato e con la sensazione di essere portati per mano attraverso un percorso di pensiero virtuoso. Virtuoso sì, ma non certo rassicurante. Il messaggio positivo però non manca di chiudere la vicenda, anche se essa rimane aperta a nuove incertezze, che significano nuovo impegno per il tredicenne Michele, al quale è affidata la frase finale: “È solo questione di tempo: verrà un giorno in cui noi ragazzi saremo liberi di camminare alla luce del sole senza doverci guardare alle spalle e difendere da chi dovrebbe proteggerci”.