Undici Settembre 2001, due aerei dirottati, lanciati nel cuore del World Trade Center, migliaia di vittime, un mondo attonito che, da quel preciso momento, cambia faccia. La storia del mondo occidentale è cambiata da quel preciso momento: 2974 vittime, di cui 2752 alle torri gemelle e 757 mezz’ora dopo, in un attacco simile al pentagono.
Un istante, che ha costretto la gente comune ad assistere all’orrore e che ha siglato l’inizio dell’era della paura. Combattenti in nome di una religione, uomini che dall’undici Settembre ai recenti eventi di Parigi seminano terrore nel mondo occidentale. Uomini, ma non solo. Donne, che combattono il mondo occidentale al pari del sesso opposto, nonostante la concezione che l’estremismo islamico abbia della loro figura fortemente sottomessa e lontana dall’emancipazione.
Reti fittissime, quelle dell’ISIS, che s’insinuano nel mondo occidentale attraverso, ironia della sorte, i suoi stessi mezzi, Nelle file del movimento jihadista, dunqu, non ci sono solo uomini, ma molte donne, proprio contrariamente a quanto si possa pensare.
Qual è, dunque, la concezione e il ruolo di una sostenitrice dell’ISIS. Un think tank inglese, Quilliam Foundation, di recente ha tradotto dall’arabo un documento, il “Women in The Islamic State”, redatto dalle donne combattenti dell’ISIS. Si tratta di un manifesto, di pura propaganda, che descrive minuziosamente il ruolo della donna nei territori governati dallo Stato Islamico estremista.
Qual è, dunque, la concezione e il ruolo di una sostenitrice dell’ISIS. Un think tank inglese, Quilliam Foundation, di recente ha tradotto dall’arabo un documento, il “Women in The Islamic State”, redatto dalle donne combattenti dell’ISIS. Si tratta di un manifesto, di pura propaganda, che descrive minuziosamente il ruolo della donna nei territori governati dallo Stato Islamico estremista.
Il documento è diviso in tre parti principali, di cui, la prima riguarda la critica al mondo occidentale e ai suoi vizi, la seconda narra le esperienze di vita vissuta delle autrici, mentre la terza parte discute del tenore di vita delle donne che vivono nei territori dell’ISIS in Siria e Iraq e di quelle che si trovano, invece, in Arabia Saudita. Una testimonianza delle donne per le donne, in particolare quelle arabe, finalizzata al reclutamento per infoltire le file dei combattenti.
Il ruolo della donna, secondo le autrici, è quello di emulare in maniera indiscussa la vita e il comportamento di figure esemplari della cultura islamica: Maria, la madre di Cristo, considerata l’ultimo profeta prima di Maometto, Siya madre di Mosé, Khadja la prima moglie di Maometto e Fatima figlia di Maometto. La condotta comunemente accettata e doverosa è dunque quella di una donna pura e dedita all’uomo e più che mai alla figura del marito. A tal proposito la frase che si legge nel documento appare emblematica e altamente rappresentativa: “Non c’è responsabilità più grande per la donna che quella di essere moglie”. Secondo queste donne, all’uomo spetta il ruolo di dirigente e alle donne, l’onore di eseguire il compito affidato loro. Punto che, secondo le redattrici del documento, sarebbe in comune con la cultura occidentale.
Altro elemento che avrebbero in comune le donne islamiche con quelle occidentali riguarderebbe la cultura, poiché lo Stato Islamico non vieterebbe la possibilità a queste di emanciparsi culturalmente, tuttavia, ritiene inutile il protrarsi della scolarizzazione oltre un certo limite. Il tempo dedicato alla cultura deve essere limitato, poiché percepito come un pericolo, che, in alcuni casi potrebbe portare al rinvio di un possibile matrimonio e all’allontanamento della donna dai propri doveri.
Si legge: “Non c’è alcun bisogno che loro [le donne] corrano di qua e di là per laurearsi o altro, soltanto per poter cercare di provare che la propria intelligenza è maggiore di quella dell’uomo”.
Sempre secondo il documento, il mondo occidentale sarebbe incoerente circa il trattamento delle proprie figure femminili. Se da un lato ne promuove l’emancipazione, dall’altro stanzia fondi per chi di esse decidesse di starsene a casa a dedicarsi alle proprie originarie mansioni.
Da questa critica verrebbe da pensare che la donna dell’ISIS non possa lavorare. Invece no. Il monito generale è quello di dedicarsi alla casa e all’educazione religiosa dei propri figli, tuttavia, è concesso lavorare soltanto in tre specifici casi nell’ottica del servizio alla comunità.
- Per la Jihad, la guerra ai supposti infedeli nel caso in cui gli uomini non bastassero
- Per studiare la “scienza della religione” ossia la Sharia, la legge islamica
- Per fare il medico o l’insegnante.
Questo tipo di impostazione è considerata giusta e abbastanza permissiva, dal testo si snocciola un preciso piano di istruzione. Un percorso formativo che va dai sette ai quindici anni con tappe stabilite e organizzato in livelli di istruzione ben scandagliati.
– Dai sette ai nove anni le donne sono tenute a frequentare tre corsi: fiqh (la giurisprudenza islamica) e religione, lingua araba coranica e scienza, intesa come contabilità e scienze naturali.
– Dai dieci ai dodici anni proseguono gli studi religiosi dedicati al matrimonio; le donne sono tenute ad imparare le arti del cucire, del lavorare a maglia e cucinare.
– Dai tredici ai quattordici anni il percorso prevede lo studio più approfondito della Sharia e delle doti manuali necessari a crescere i figli. Studi, arricchiti dalla storia dell’Islam, la vita del Profeta e dei seguaci.
– Dai sette ai nove anni le donne sono tenute a frequentare tre corsi: fiqh (la giurisprudenza islamica) e religione, lingua araba coranica e scienza, intesa come contabilità e scienze naturali.
– Dai dieci ai dodici anni proseguono gli studi religiosi dedicati al matrimonio; le donne sono tenute ad imparare le arti del cucire, del lavorare a maglia e cucinare.
– Dai tredici ai quattordici anni il percorso prevede lo studio più approfondito della Sharia e delle doti manuali necessari a crescere i figli. Studi, arricchiti dalla storia dell’Islam, la vita del Profeta e dei seguaci.
Fra i pochi casi previsti in cui l’ISIS concede alle donne di allontanarsi dai propri doveri c’è quello della guerra agli infedeli. I mezzi di reclutamento sono quelli più disparati. Tempo fa in rete veniva girato un video indirizzato al gentil sesso, al fine di reclutare quante più figure femminili. Le si indirizzata l’invito a voler cucinare per i fratelli jihadisti. Stabilite le regole, andare a fare jogging per non essere di peso alla guerriglia, appuntarsi precisamente le ricette da cucinare per i combattenti e, dulcis in fundo, imparare a usare le armi attraverso la rete, il messaggio veniva veicolato con parole di pace in virtù del più alto scopo: quello di assecondare il volere di Dio. I messaggi di reclutamento che girano in rete presentano pressappoco le stesse caratteristiche, l’invito pacifico a unirsi al dignitoso scopo della guerra agli infedeli nel nome della religione.
La moda del momento, tuttavia, vede donne quasi protagoniste della jihad. Girano in rete filmati che vedono donne impegnate nell’addestramento alle armi e alla guerra. Le dichiarazioni sui social network e le indagini condotte dai servizi di sicurezza nazionali ed internazionali confermano i contenuti che girano in rete. Si tratta molto spesso di donne occidentali, convertitesi all’Islam che abbracciano il culto degli estremisti ma non si tratta di un fenomeno nuovo. Spesso si sono verificati casi di donne arruolate in file di gruppi islamici di militanza, non jihadisti, come in Palestina o nel caso delle ribellioni cecene.
Nel caso dell’ISIS la figura della donna militante ha risonanza mediatica non indifferente, il peso delle sue parole riesce ad arrivare al mondo occidentale e a creare il clima di terrore, proprio perché pronunciate da una donna, pur non corrispondendo ai dettami precisi della religione di appartenenza.
Un’occasione, per queste donne, di potersi sentire affermate, valicando i confini della negazione del diritto di parola in pubblico. Anche il nigab, il velo nero integrale che lascia scoperti solo gli occhi, viene reinterpretato. Non è più uno strumento di sottomissione o di identità religiosa ma, per le donne estremiste, un identikit che le distingue come guerriere di una causa più grande, un simbolo di attivismo. Scenario che, tuttavia, è soggetto a notevoli cambiamenti ed evoluzioni. Non sono rari i casi di vere e proprie spie rosa che ricoprono un ruolo fondamentale. Donne infiltrate e addestrate per confondersi con la mischia in modo da sedurre uomini potenti e carpire segreti utili alla causa jihadista.
L’intelligence femminile dell’ISIS sarebbe, secondo alcune fonti, composta da una settantina di donne presenti in Italia. Frequentano le università, i posti di lavoro e i locali notturni. Spie di Abu Bake al- Baghdadi. Moda che, apparentemente, va contro le leggi del Corano, tuttavia, queste figure servono alle file estremiste per mettere appunto non solo atti di terrorismo ma anche quegli accorgimenti che portano alla colonizzazione e conversione del mondo occidentale attraverso una strategia controversa e sviante oltre ogni sospetto. Se così fosse, sembrerebbe quasi di parlare di un film d’azione americano, in cui l’estremismo islamico combatte l’occidente, utilizzando i metodi dell’occidente stesso.