Che cos’è una discrasia? Semplicemente “cattiva mescolanza”, “cattivo temperamento”. È un termine medico che, presa a prestito la definizione riportata nell’enciclopedia Treccani, secondo la dottrina umorale ippocratica indica lo squilibrio nella composizione o temperamento (crasi) dei quattro umori dell’organismo umano, che caratterizza e condiziona ogni stato morboso. Il termine discrasia è stato recentemente usato in letteratura dal poliartista di respiro internazionale Giovanni Fontana, performer, autore di romanzi “sonori”, poeta verbo visuale e sonoro. Addirittura lo ha usato per dare il titolo ad un suo recente volume: Discrasie. Sessioni metacritiche (Novecento Libri, 2018), con un testo, Intermedialità, di Marcello Carlino.
Ma qual è la cattiva mescolanza, il cattivo temperamento che sostengono questo volume? Cercheremo di individuarli, ma possiamo comunque racchiuderli in una sola parola, come ci suggerisce Carlino: squilibrio. Un’alterazione, una disfunzione, dove è la dimensione intermediale che riorganizza i materiali e che indica nuovi punti di equilibrio. Insomma, quando parliamo di Discrasie, parliamo«di scritture non protocollari, di squilibri, di fusione di livelli che si riallineano sul piano della sonorità. È la vocalità che riassetta la crasi» (G. Fontana). Dov’è, dunque, la discrasia? Secondo Fontana nella perdita di equilibrio del mondo; ma è anche nel modo di sovvertire i protocolli letterari e non letterari, fino a fondere la poesia con la prosa e con la critica, per diventare metacritica, scrittura paramusicale, pre-testo performativo, coreografia (si guardi Dislessia coreografica) o sceneggiatura (si guardi Paludi): ««Segui trasversalmente / guarda / insopprimibile nel ventre / pulsa / guarda / mentre sotto / rotto / tenta di sfondare dal di dentro / al centro / sono nugoli di colpi / guarda / pulsa / assolti in contraccolpi colti in colpe d’epigastrici risvolti / è figlio dello strazio / mai sazio / è il giglio sfatto / il giglio dello sfratto trionfante / drogato in percorsi snaturati / è il conflitto della guerra / mal digerito / mai capito / fiore appassito per terre di misfatti / strazio / spazio di guerra / su di giri / a scatti male fatti…» (Transverse projection (Danzatrice, poi gruppo) p. 65).
Quella di Fontana è una chiara volontà (anche se rischiosa, ma senza rischio non c’è poesia) di alterare gli equilibri convenzionali, le categorie precostituite, i generi, ecc. Ma quella che è la “cattiva mescolanza” per occhi istituzionali, per Fontana «è riorganizzata in un flusso incalzante: un flusso che risponde alle strutture ritmico-sonore che tirano in ballo la vocalità e, pertanto, le chiavi intermediali della performance»: insomma, turbativa e alterazione di modelli, ma per ricercare nuove configurazioni nell’intermedialità: «tu prrrova ankora in replay / se in pista akkosti voce fekonda ke assekonda il rrritmo / senti ke sssarenko buàna va kantando ke la poesia è kome un buon maiale / del porko invero non sssi butta niente / ké è tutta di mente & di korrrpo la poesia / di lingua fffegato & animelle / di trrrippe poppe & koratelle / di passsioni & frrrattaglie / di koglioni & ioni / di relazioni & sovversioni / di guasti & befffe & perversioni / in un grrroviglio di rrrivoluzioni / pandemoni & scompigli / di kontrraddizioni / azioni in kontrattakko & di sssoppiatto / per anomalie di trrramonti & digrrrignanti sfide / per vizi d’ingegno & ideologie / nelle skorrribande insolenti dell’ambiguità» (Poetry is a gun – per Sarenco, pp. 110-11).
Prima di approcciarci alla lettura di questo volume è bene specificare che il termine discrasia, ossia perturbamento, non è nuovo il letteratura. Lo troviamo, per es., nella Divina Commedia di Dante Alighieri, «sanatas sine discrasia». Tornando ai tempi moderni, nell’Ottocento lo troviamo ne Le mie prigioni di Silvio Pellico e ne I Viceré di Federico De Roberto. «Lo scorbuto, negli anni precedenti, aveva fatto molta strage in quelle prigioni. Il governo, quando seppe che Maroncelli era affetto da quel terribile male, paventò nuova epidemia scorbutica e consentì all’inchiesta del medico, il quale diceva non esservi rimedio efficace per Maroncelli se non l’aria aperta, e consigliava di tenerlo il meno possibile entro la stanza. Io, come contubernale di questo, ed anche infermo di discrasia, godetti lo stesso vantaggio» (S. Pellico).
Dunque si tratta di turbamento, di alterazione. E approcciandoci poi a leggere questo volume di Fontana ecco che, dal punto di vista letterario, davanti a noi si apre un mondo di discrasia linguistica dove la peculiarità è data proprio dall’alterazione. Più specificatamente, facendoci convergere verso questa breve analisi dallo scritto di Carlino, si tratta di una intermedialità tra linguaggi definita da Fontana come “poesia epigenetica”: «Percorrendo questa strada, si arriva ad una concezione del testo come testo integrato, come politesto in risonanza, come ipertesto sonoro multipoietico, come ultratesto trasversale che vive di polifonie intermediali e interlinguistiche, basato su linguaggi d’azione che non siano la mera sommatoria delle lingue sussidiarie che vi partecipano […]; pre-testo in quanto luogo da trasfigurare, pre-testo in quanto primo territorio d’azione da ri-perimetrare, in termini di spazio e di tempo, con il corpo […], con gli oggetti […], con il suono […], con l’architettura […], con i supporti tecnologici […], con il rapporto con l’ambiente […]. Si potranno ricercare in ambito performativo intermediale nuovi rapporti con le forme del testo, con l’intenzione di costruire una poesia che sia multidimensionale e pluridirezionale, multivalente e pluripotenziale, policentrica e multilaterale, poliritmica e multisonante».
Traducendo in parole povere, una linea sottile traccia lineamenti di linguaggi diversi, tra quello poetico e quello parlato; tra lingue diverse, quella italiana e quella dialettale; ma anche tra suoni diversi e intercomunicabili, figuranti e trasfiguranti, ma senza configurarsi mai quali “liberazioni dai significati”. Infatti Carlino, nel suo testo prosegue dicendo che queste scritture, questi eventi performativi «Implicano, al contrario, itinerari di semantizzazione rinnovata» agganciati all’antica poetica di Fontana: quella che riflette sul pre-testo. E ancora: «Le scritture e le tavole e gli eventi performativi di Fontana non si configurano mai, come invece per altri accade e come accade paradossalmente nella società mediatica odierna (dove l’apparente pervietà concessa all’informazione nel villaggio globale funziona, alla corte, come cancellazione e disdetta di una vera informazione), quali notifiche di paradossali e per la verità improbabili liberazioni dai significati, con promozione congiunta (come una conseguente valorizzazione metafisica) dei significanti puri» (p. 136).
Dal punto di vista dello stile di questa scrittura fontaniana è un po’ azzardato parlare di uno stile ancor più se specifico, non già per la contaminazione di lingue e di generi, ma per la pluralità dell’apparato linguistico, la rinnovata semantizzazione (di cui sopra): sta di fatto che proprio in «una risemantizzazione e in una semantizzazione antagonista stanno l’essenza e la necessità e l’utilità (e la prospezione di una via futura progettata in utopia) dell’intermedialità. alla quale Fontana impronta l’intera sua produzione poliartistica» (Carlino, ivi). Anche se ‒ secondo il buon Leopardi ‒ un poeta si riconosce dallo stile, ci troviamo di fronte ad una concatenazione di significanti per nuove semantizzazioni, «… ché si susseguono / membra a contatto / materia di contratto / brama senza certezze di adattamento / di mutamento in rivolta di concetti / percezioni allucinate da linfe amare / e tensioni / e tensioni / tensioni che risalgono a stento / all’origine del mito d’aria [ab origine e ab ovo avrebbe detto Emilio Villa] / del mito / del sito proibito nell’ordine corrente delle cose / del rito ferito e ardito / tradito all’origine / dall’ambiguità della sintesi di carni opposte / che sfidano orgasmi e frenesie […] / in miriadi di forme d’attesa…» (p. 67).
Abbondanti sessioni metacritiche ‒ come dal sottotitolo (alcune dedicate ad amici ed estimatori del Nostro: Nanni Balestrini, Questioni di tagli; John Cage, Partita doppia; una memoria di braccianti ciociari, Palude; Stefano Maltese, L’esercizio del viaggio; Ennio Di Vincenzo, Memento memoriae; Antonino Poce, Eco che si consuma; Guido Pecci, Les tableau x noirs; Adriano Spatola, Zeroglifici; Arrigo Lora Totino, Scherzo; Antonio Amendola, Tra ossessione e divertissement labiale; Franco Cavallo, Pratiche; Federico Caponera, Corrispondenze e sinestesie per allegorie in risonanza; Stelio Maria Martini, Dell’impassibilità del naufrago; Sarenco, Poetry is a gun; Mario Lunetta, Disfunzionale; Gualberto Alvino, Distassie folgoranti e tarsie; Julien Blaine, Pas à pas) ‒, quasi delle suite o piccole pièce surreali e grottesche, prive di punteggiatura, senza gli accapo, interdette quasi sempre da barre diagonali e/o verticali come se il foglio fosse uno spartito musicale e le parole le note, interposte tra battute più o meno lunghe, si dispiegano lungo 25 brevi capitoli, già pubblicati in vari contesti, apparentemente in stesura prosastica: «Ecco. Arrocco. Strabocca e sblocca finalmente il flusso della contaminazione inquietante. Quella che stempera la densità dei segni. Ecco le confluenze. Quali le intersezioni. Quali le interferenze. Dritto dritto al pluripotenziale. Colori, architetture, corpo e gesto. Grafie. Manie. Rumori, suoni. Un disastro. Demolizioni. Sedimenti. Azioni di recupero. Quando il gioco è poetico. Quando la voce è inscritta nelle pieghe. Negli interstizi dell’interlinguaggio. Dove la glottide apre bolle fluide e sgrana balle variopinte. Chiude. Monta e smonta. Percorre. Scassa. Rimuove. Assegna. Raccatta ed ha funzione riparatrice. Portante. Strutturale. Benedicente quando mira a cosce tornite. Correttamente abbronzate. La voce catalizza e media. Organizza. Dinamizza. Ri-testualizza. Suda sulle carte. L’oralità traspare. La vocalità precipita. Come sali in soluzione satura. Qui la fonosfera s’ispessisce di giorno in giorno e il suono è fluido. Lo affido al grido talvolta» (Sinergia e così sia, p. 9).
Sprigionano una poeticità accattivante, tra l’ossessione di rompere il guscio dell’inerzia, dell’inconosciuto tra divertissement allegoria e allitterazioni, dove il naufragare in mari burrascosi è una condizione primaria, ma che non spaventa minimamente Fontana, che è un acrobata del linguaggio, il nuovo dell’avanguardia non senza una componente utopica e anarchica, anche di fronte a distassie folgoranti e tarsie: «C’è il mestiere di Zorzo in questi testi? Qui la va tutta in diesis. Con molte alterazioni sopratono. Ut pictura poesis. O poiesis. E siamo lontani per tempi e tecniche», Distassie folgoranti e tarsie, p. 115), dalla rivelazione del paradosso, dalla divaricazione del significato, dagli slittamenti, dai rischi e dagli azzardi per una realtà altra da questa insudicia che siamo costretti a vivere: non che la scrittura di Fontana non “svuoti il sacco”; anzi, lo svuota talmente con maestria (dagli scenari possibili e devastanti, dispotici), ma è troppo accelerata e fuori dal senso comune questa maestria per le aspettative della comprensività massificante.
E non resta che resistere, mettere in campo un antagonismo socio-politico, rappresentazioni mentali, una pars destruens di baconiana memoria per stravolgere, non prima di averlo negato, il significato del vecchio sapere. È ancora lo “scarto dalla norma” che regge il discorso di linguaggi e poetiche come quelle di Fontana, magari sorrette da un’autoironia: «si trasforma e si trasforma il senso / in prospettiva di corporeità / con cuore di cane e testa di maiale / cervello d’abbacchio / mozzarella in cocchio» (p. 33). Il pranzo è servito!