Chi non ricorda quel tenero personaggio che chiedeva l’elemosina pronunciando solo queste due sillabe? Lui certo non sapeva di condensare in esse almeno tre concetti importanti:
1) Realizzava una personalissima apocope (pa’ per pane non l’abbiamo sentito da altra fonte)
2) Usava una metafora, in quanto “pane” era da intendere come “mezzo di sussistenza”
3) Usava il termine pane che non è né maschile né femminile, ma NEUTRO
Qui c’interessa solo il punto 3. Quando diciamo ’o ppane, ’o ssale rafforziamo l’iniziale (rispetto a nu poco ’e pane, nu pizzeco ’e sale). Perché? Per segnalare che si tratta di un neutro! Infatti non raddoppiamo l’iniziale col singolare maschile (’o libbro) e femminile (’a seggia).
A volte la doppia fa la differenza: ’o napulitano (maschile) è l’uomo napoletano; ’o nnapulitano(neutro) è il dialetto napoletano.
Siamo così entrati nel lungo discorso sulle consonanti napoletane, partendo da un fenomeno tipico del nostro dialetto: la tendenza a rafforzare le consonanti.
A volte questa tendenza risponde a una pronunzia comune all’italiano, come in “a cavallo” (a deriva dal latino ad, per cui si ha adcavallo = accavallo).
Altre volte è solo del napoletano, come nel caso del neutro che abbiamo visto sopra o come nel caso dell’articolo femminile plurale, che provoca in napoletano il rafforzamento sintattico (si chiama così): ’e ffemmene (sing. ’a femmena).
La tendenza al raddoppio è diffusa nel napoletano non solo a inizio parola, dopo certe paroline (’o neutro, ’e femm. plur., le preposizioni a, pe’, cu’ ed altre paroline) o anche per effetto di un’aferesi (’mmece da immece = “invece”, ’Mmaculata da Immacolata) ma anche all’interno delle parole, come tabbacco per “tabacco”, ammore per “amore”, subbeto per “subito”, famma per “fame”…
Tre suoni consonantici sono sempre raddoppiati:
B (’o bbabbà, mobbile)
G seguito da e o da i (’a ggente, staggione)
ZI, ma solo all’interno di parola (lezzione, ’strazzione, cioè l’estrazione del lotto)
Un altro raddoppio è da considerare gghi rispetto alla semiconsonante j (che in napoletano va letta col suono gli di “aglio”, ma meno marcato, come la vocale i in “aiuola”). Così ’a jatta (“la gatta”) diventa al plurale ’e gghiatte.
Lasciamoci qui, col solito esempio di frase errata da correggere.
La frase (corretta) è quella che forse pensava il nostro personaggio che diceva ’o ppa’:
’O sazio nun crere ô riuno (chi è sazio non crede a chi è digiuno).
L’abbiamo trovata scritta così:
‘O sazzih nu’ ccrér ô riun. Evidentemente lo scrittore non conosceva le vocali, se ha potuto mettere addirittura una h al posto della o semimuta; ma aveva consapevolezza delle doppie, se si è premurato di raddoppiare la c iniziale del verbo credere, anche se forse non sapeva il perché.
A proposito, ’o rraù è di genere neutro (ora che lo sapete, lo troverete più buono…)