Viaggiare non è solo immergersi nei paesaggi naturali dei luoghi che visitiamo, godere delle loro bellezze artistiche, cercare i contatti con la gente che vi abita, ma anche muoversi per intinerari culturali, seguire le tracce degli artisti, dei poeti, degli scrittori, degli intellettuali che in quei luoghi hanno vissuto.
Così negli anni mi sono seduta al bar dell’ hotel Dos Mundos a Cuba dove Hemingway beveva i suoi mojitos, o al caffé Tortoni a Buenos Aires dove Borges si sedeva ad un tavolo d’angolo con gli amici o al Caffè Greco a Roma respirando quell’aria speciale di cultura che si attacca alle sedie, alle vetrate, ai velluti e all’anima.
Così ho visitato in Cile le tre case del poeta Pablo Neruda, pseudonimo di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, nato il 12 luglio del 1904 a Parral, in Cile: La Chascona a Santiago, La Sebastiana a Val Paraíso e Isla negra in un villaggio di pescatori nella costa cilena, case di un poeta amato fin dall’adolescenza che mi hanno fatto respirare il fascino di un uomo, di una vita e dei suoi versi. Case non anonime, case museo tutte diverse con una personalità propria e una ubicazione geografica particolare, eppure tutte con l’impronta di un poeta viaggiatore (Neruda era stato console cileno a Ceylon, a Giava, in Birmania, oltre che in Europa), case costruite come fossero barche con grandi finestre per vedere le onde muoversi sulle rive del mare o sognarle, o aperture come oblò per permettersi lo stesso sguardo dei marinai sul mare, case con scale e corridoi, pavimenti di legno, pareti azzurre, gialle, bianche, mosse nella loro struttura per potersi aprire a differenti visioni del paesaggio circostante, stanze piene di oggetti che il poeta raccoglieva nei suoi viaggi e che amava, stampe, mappe, mosaici, polene, bambole, vetri multicolori, conchiglie, sculture di pietra, bussole, sestanti.
Le tracce dei viaggi e delle conoscenze, come dei gusti del poeta, sono ovunque. Ogni casa è calda, accogliente, non un luogo di rappresentanza, ma di vita che racconta la sanguigna vitalità del poeta, luoghi intimi dove ricevere gli amici, mangiare con loro in allegre tavolate e dove sempre è presente un bancone da bar, testimone di tante bevute in compagnia: qui Neruda , travestito da barman , preparava per gli amici il mitico “Coquelon”, a base di cognac, cointreau , champagne e succo d’arancia.
La prima casa che visito, detta La Chascona, è immersa nel tranquillo quartiere di Bellavista, a Santiago, sorge come una macchia blu in un ombreggiato vicolo cieco ai piedi del Cerro Bohème di San Cristobal, il santo protettore dei navigatori. La casa è composta da tre piccole costruzioni arrampicate su una collina dalla fitta vegetazione: una per la vita sociale con il bar, la sala da pranzo, la stanza degli ospiti, una per la vita privata e la terza, nel punto più alto, con la biblioteca e lo studio, che offre la vista più panoramica.
Purtroppo quella che visitiamo oggi non è esattamente quella che arredò Neruda, dal momento che fu saccheggiata durante la dittatura di Pinochet e centinaia di oggetti, ricordi e più di 7000 libri furono distrutti. Tra i ritratti appesi alle pareti si distingue quello di Matilde Urrutia, la sua ultima donna e musa ispiratrice, quella che divenne la sua terza moglie e con la quale visse fino alla morte, la famosa “chascona” (la spettinata), per via dei suoi selvaggi capelli rossi e arricciati, da lì il nome della casa. Dipinta da Diego Rivera nel 1953, la chioma di Matilde si staglia su un fondo verde e nasconde tra le sue volute il profilo di Neruda. Sui mobili si accumulano inoltre cornici con altri ritratti e foto dei tanti amici di Neruda sparpagliati per il mondo e dei poeti che più stimava, tra questi posso riconoscere Witman, Rimbaud, Baudelaire, i tre grandi maestri del poeta.
Per visitare la seconda casa prendo un pulmann che da Santiago mi porta a Valparaiso, sulla costa. La Sebastiana, una costruzione di cinque piani, sorge in cima al Cerro Bellavista nella città costruita su colline che degradano verso il mare e il porto , con una vista da mozzare il fiato. Dal 1950 il poeta trascorreva la maggior parte del suo tempo nella capitale Santiago, ma stancatosi del caos che la animava, decise di cercare un luogo più tranquillo per vivere e lavorare. Come ebbe a dire, voleva una casa che “sembrasse fluttuare nell’aria, ma fosse ben stabile sulla terra”. Chiamò a costruirla l’architetto spagnolo Sabastián Collado e tanto gli piacque il modo in cui questi aveva realizzato i suoi desideri che le diede il suo nome e come sempre la arredò con la sua impronta riconoscibile.
Qui Neruda amava passare l’ultimo dell’anno per ammirare con gli amici dalla sua magnifica terrazza i fuochi d’artificio sul porto. La dimensione del gioco gli sembrava necessaria alla poesia come alla vita. “La mia casa è stata costruita anche come un giocattolo ed io ci gioco da mattina a sera. Qui ho riunito giocattoli piccoli e grandi senza i quali non potrei vivere.” A Neruda piaceva giocare e diceva che l’uomo che non gioca perde il bambino che vive in lui e questa è una perdita grave che lo renderà incompleto per tutta la vita.
Per questo nella casa, zeppa anch’essa come le altre di oggetti che hanno a che fare col mare e la navigazione, c’è un bar del capitano dipinto di rosa acceso che solo Neruda poteva usare, indossando una divisa da capitano. In una parete troviamo appeso un ritratto dell’ammiraglio britannico Lord Cochrane, chiamato dai francesi Le loup de mers, che aiutò i Cileni a formare la loro marina militare durante la guerra d’indipendenza dalla Spagna.
Proseguendo in viaggio per la costa cilena, mi aspetta l’ultima casa , la più amata, quella di Isla Negra, dove Neruda si rifugiò dopo i numerosi viaggi dovuti ai suoi incarichi diplomatici. Il poeta di Venti poesie d’amore e una canzone disperata, I versi del Capitano e tante altre raccolte poetiche, voleva poter scrivere in un ambiente stranquillo e insieme stimolante; lo trovò proprio qui sulla costa del Pacifico, a sud di Valparaiso. Quasi ogni giorno usciva per lunghe passeggiate sulla spiaggia alla ricerca dei detriti abbandonati dall’oceano e che lui spesso trasformava in oggetti per la sua casa, come quel vecchio asse di legno che gli fungeva da scrittoio.”Questa casa è la mia barca ancorata sulla terra” diceva.
Vi si arriva percorrendo un lungo sentiero di terra battuta delimitato da alberi e cespugli, dove ti accompagna quasi sempre un sole abbagliante e la voce inarrestabile dell’oceano e del vento. La casa, quando Neruda la comprò nel 1938, era solo un vecchio rudere, che il poeta restaurò e ingrandì anno dopo anno, fino a farne l’affascinante rifugio che oggi conosciamo. Qui tutto riflette l’amore di Neruda per il mare, il nome gli fu dato per le rocce nere che insieme alla sabbia dell’oceano la circondano e che danno la sensazione di un mare scuro che protegga la casa da ogni invasione non voluta. Progettata come una nave, con pavimenti di legno, stretti passaggi, ha stanze piene di oggetti marinari e di polene, donne e sirene con forme esuberanti intagliate in legni policromi, che sembrano unire le due passioni di Neruda, il mare e le donne. Il bancone del bar, presente anche in altre case, ha qui un significato particolare. Neruda vi è andato incidendo man mano il nome degli amici che scomparivano dalla sua vita, un monumento di legno alla loro memoria, alla condivisione con loro di momenti felici, con una coppa in mano e l’oceano negli occhi.
In queste case Pablo Neruda, Il capitano come lui stesso si definiva, riposava, amava, scriveva i suoi versi. Visitandole, versi interi mi venivano alla memoria e mi facevano da guida, e non solo i suoi versi d’amore nell’appassionata bellezza delle immagini e nell’intensa musicalità. La pietra, gli spazi, i mobili, gli oggetti tutto mi ricordava anche il canto d’amore alla sua terra, il suo impegno per la libertà, la giustizia, contro la violenza del potere. Pensavo agli ultimi drammatici mesi della sua vita quando, malato di cancro, per questo rinunciò all’incarico di ambasciatore in Francia, gli toccò ascoltare dalla televisione l’11 settembre del 1973 l’annuncio del golpe di Pinochet che metteva fine a tutte le speranze sociali e politiche del socialismo di Allende, nel quale Neruda si era riconosciuto e per il quale aveva lavorato e lottato. Dopo il golpe militare la sua salute si aggravò e venne trasportato d’urgenza all’ospedale dalla sua casa di Isla Negra a Santiago, dove morì il 23 settembre del 1973. Il funerale del poeta si fece nel Cimitero Generale alla presenza dei membri del Partito Comunista, nonostanze il pericolo di persecuzione del regime. I presenti, pur circondati da soldati armati con mitragliatrici, ebbero il coraggio di inneggiare a Neruda e a Allende e di cantare L’Internazionale. Dopo il funerale molti di loro andarono a ingrossare le liste dei “desaparecidos” (gli scomparsi). I resti di Neruda furono poi esumati e portati nel Salone d’Onore dell’ex Congresso Nazionale a ricevere l’omaggio di quelli che la dittatura non aveva ancora imprigionati. E il giorno dopo, secondo i desideri del poeta, così lasciò detto “ Compagni miei, seppellitemi a Isla Negra, di fronte al mare che conosco, di fronte alle aspre superfici di pietre e di onde che i miei occhi smarriti non rivedranno mai “,i suoi resti furono trasportati nella casa di Isla negra dove tutt’ora riposano, accanto a quelli di Matilde Urrutia.
Lasciata in eredità al partito comunista, l’Isla Negra, come le altre dimore, confiscate e chiuse dal regime di Pinochet per anni, è stata riaperta nel ’90 col ritorno della democrazia nel paese. Trasformate tutte in case-museo, sono tutelate e gestite dalla Fondazione Neruda.