È stata battezzata con il nome di un gigante della mitologia classica, fa parte della grande famiglia di satelliti naturali di Saturno ed è nota per l’oceano che giace sotto la sua superficie, celato da una spessa crosta ghiacciata: è questo l’identikit di Encelado, sesta luna di Saturno in ordine di grandezza, di si conosceva ben poco antecedentemente al primo sorvolo della sonda Cassini, avvenuto nel 2005. Il corpo celeste, scoperto nel 1789 da William Herschel, era stato già osservato dalle sonde Voyager nei primi anni ’80, ma solo con Cassini è stato possibile realizzarne un ritratto più definito.
Grazie alle osservazioni della sonda Nasa-Esa-Asi, gli studiosi hanno scoperto che Encelado ha un oceano sub-superficiale caratterizzato da attività idrotermale: gli sbocchi presenti sul fondale danno luogo ad una mescolanza tra il materiale proveniente dalle profondità della luna e l’acqua oceanica. Inoltre, l’area del polo sud di Encelado si è mostrata geologicamente attiva ed è solcata da lunghe fratture lineari – i cosiddetti ‘graffi di tigre’ (tiger stripes) – da cui fuoriescono pennacchi costituiti da vapore e particelle di ghiaccio.
Da un’ulteriore analisi dei dati raccolti dalla sonda, che ha concluso la sua vita operativa con il ‘Grand Finale’ del 15 settembre 2017, è stata riscontrata nelle suddette particelle la presenza di molecole organiche complesse provenienti dalle profondità della luna; lo studio, illustrato nell’articolo “Macromolecular organic compounds from the depths of Enceladus”, pubblicato ieri su Nature, è stato coordinato dall’Università di Heidelberg (Germania). Le molecole in questione presentano una struttura molto articolata, composta da centinaia di atomi di carbonio, idrogeno, ossigeno e probabilmente azoto, che formano delle sottostrutture simili a catene ed anelli.
I frammenti di ghiaccio studiati da Cassini si sono formati quando i granelli hanno urtato lo strumento di analisi delle polveri a bordo della sonda, ad una velocità di circa 30mila chilometri all’ora; gli esperti ritengono che, prima della collisione, i granelli potessero contenere strutture ancora più ampie.
Molecole di questo genere si possono formare solo in base a processi chimici complessi, come quelli connessi alla vita oppure generati dall’attività idrotermale. Questa seconda ipotesi, approfondita anche con simulazioni informatiche, è ritenuta quella più probabile. Le bolle di gas, quindi, risalendo attraverso l’oceano, possono trasportare sostanze organiche dalle profondità dove formano una pellicola sottile che fluttua sotto la crosta ghiacciata.
Una volta affiorate verso la superficie, le bolle disperdono parte del materiale organico, che, sotto forma di piccole gocce, si ghiaccia e poi viene emesso dai pennacchi. Tuttavia, i soli dati di Cassini non consentono al momento di confermare con esattezza l’origine delle molecole; solo future missioni verso questa luna potranno chiarire la situazione. Lo studio comunque avrà importanti implicazioni per Juice (Jupiter Icy Moons Explorer), missione Esa con lancio nel 2022, progettata per esplorare Europa, Ganimede e Callisto, i mondi oceanici del sistema di Giove.