(Adnkronos) – Le immagini dell’atleta britannico Tom Daley ai Giochi Olimpici di Tokyo, seduto sugli spalti e intento a lavorare a maglia o all’uncinetto dopo aver vinto l’oro nei tuffi sincronizzati, hanno fatto il giro del mondo. Era il 2021. Daley non è certo solo nel club degli amanti dei gomitoli. Sembra che addirittura Albert Einstein si impegnasse in questa attività tra un progetto e l’altro per “calmare la sua mente e chiarirsi le idee”.
E oggi la scienza dimostra come la scelta del campione di tuffi (e di ‘knitting’) e dello scienziato sia stata quantomai azzeccata per la loro salute mentale. ‘Sferruzzare’, infatti, fa davvero bene al cervello, ferma i pensieri intrusivi, aumenta il livello di attenzione e concentrazione verso un’attività specifica. A mettere sotto la lente dei ricercatori ferri e uncinetti è stato l’ente filantropico Gomitolorosa, che dopo anni di attività con le pazienti oncologiche, durante i quali ha toccato con mano i benefici della maglia, ha commissionato all’Istituto neurologico Besta di Milano uno studio scientifico vero e proprio.
E gli scienziati lo hanno portato a termine arruolando 40 volontarie e volontari esperti di knitting – di età compresa tra i 27 e i 63 anni – e registrando la loro attività cerebrale. Fra le principali evidenze emerse dalla ricerca, presentata oggi nel capoluogo lombardo e disponibile in versione preprint (non ancora sottoposta a revisione paritaria) sulla piattaforma ‘MedRxiv’, c’è anche l’impatto positivo sulle pazienti oncologiche: lavorare a maglia le rende più concentrate, consapevoli e informate durante il colloquio con gli oncologi.
“Questa ricerca ci permette di osservare per la prima volta come il lavoro a maglia sia uno strumento efficace per sostenere l’empowerment del paziente e delle pazienti – osserva Alberto Costa, presidente di Gomitolorosa, e oncologo senologo riconosciuto a livello internazionale per il suo contributo all’avanzamento della cura dei tumori al seno – Da medico posso dire che questo porta con sé quattro benefici: promuove la consapevolezza delle pazienti e consente loro di comprendere più a fondo la propria salute, la malattia e le opzioni di trattamento; aumenta l’aderenza al trattamento, perché quando i pazienti sono coinvolti attivamente nelle decisioni riguardanti la propria salute, sono più propensi a seguire le indicazioni mediche e a impegnarsi in modo proattivo nei percorsi di cura; migliora la qualità della cura e, infatti, pazienti informati e coinvolti possono collaborare in modo più efficace coi professionisti sanitari, portando a una migliore comprensione delle esigenze del paziente e a una cura più personalizzata e mirata”.
Infine il quarto punto: il tricot “riduce l’ansia e la paura – evidenzia Costa – Con una maggiore conoscenza e controllo sulla propria situazione di salute, i pazienti possono ridurre l’ansia e la paura associate alla malattia, migliorando il loro benessere emotivo complessivo”.
La ricerca è stata strutturata così: i neurologi e neurofisiologi del Besta hanno registrato l’attività magnetica ed elettrica della corteccia cerebrale dei volontari attraverso uno strumento di diagnostica molto innovativo, la Magneto-Encefalo-Grafia (Meg), prima e dopo una sessione di lavoro a maglia di 20 minuti con l’obiettivo di determinare scientificamente e misurare gli eventuali benefici per la salute mentale, l’attenzione e il benessere derivanti da questa attività.
L’esperimento è anche stato ripetuto su un gruppo di ‘controllo’, cioè su soggetti che non praticano abitualmente il lavoro a maglia. A realizzare il lavoro scientifico che è stato inviato alla rivista ‘Scientific Reports’ ed è attualmente sottoposto ai processi di revisione per la pubblicazione, sono stati Davide Rossi Sebastiano, responsabile dell’Uo Neurofisiopatologia e capo progetto; Pietro Tiraboschi, responsabile della Struttura semplice Clinica delle demenze; Cristina Muscio, psicologa clinica, e le ingegnere Elisa Visani e Dunja Duran.
“L’aspetto innovativo della ricerca – sottolinea Rossi Sebastiano – è il fatto che si dimostra come il lavoro a maglia influisca positivamente sull’attenzione delle persone che praticano questa attività, migliorando l’allerta e l’orientamento, che influiscono sullo ‘stato di attivazione’ della persona in preparazione alla capacità di direzionare l’attenzione verso gli ‘stimoli’ rilevanti.
Nelle persone che lavorano a maglia con una certa assiduità, anche una breve sessione aumenta l’attenzione, anche nel periodo successivo al termine del lavoro a maglia. Ulteriore aspetto innovativo è che questa attenzione si raggiunge subito, appena iniziato il lavoro, e viene mantenuta anche dopo aver finito per ulteriori 15-20 minuti”.
“Lavorare a maglia distrae dalle preoccupazioni, aiuta a percepire meno il dolore, agevola i processi di socializzazione e migliora l’autostima perché implica un obiettivo e il suo raggiungimento – aggiunge Costa – Tale incremento di attenzione è importantissimo per chi sta vivendo un percorso di cura, in quanto consente di comprendere meglio la propria malattia e le misure da prendere per superarla e raggiungere la guarigione.
È un fenomeno ben noto in psico-oncologia ed è chiamato ‘patient empowerment’, potenziamento mentale del paziente, che diventa molto più capace di comprendere la propria malattia e gli effetti sul proprio corpo, cerca attivamente informazioni ed è in grado di formulare domande per lui rilevanti a medici e operatori sanitari. Una comunicazione efficace tra medico e paziente comporta notevoli benefici. Aumenta infatti la soddisfazione del paziente e ha un impatto positivo sulla qualità di vita e sul processo di guarigione”.
Dal 2012 Gomitolorosa promuove la ‘lanaterapia’ in quasi 30 ospedali del Paese da Messina a Milano, mettendo le pazienti davanti a gomitoli e uncinetti, perché la forte convinzione dei promotori dell’iniziativa è che il lavoro a maglia rappresenti un’attività dalla quale trarre grandi benefici e costituisca uno strumento integrativo del percorso di cura.
Che sia un efficace antidoto allo stress, Costa lo aveva già intuito nei 40 anni al fianco dell’oncologo Umberto Veronesi – si legge in una nota – osservando nelle corsie degli ospedali le pazienti che lavoravano con i ferri o l’uncinetto per ingannare il tempo in attesa di sottoporsi alle cure o agli esami: “L’idea di proporre la lanaterapia mi è venuta quando una fisioterapista gallese, la signora Betsan Corkhill di Bath, lanciò la proposta, in ambito medico-scientifico, di utilizzare il termine ‘therapeutic knitting’, lavoro a maglia terapeutico, per indicare gli effetti (terapeutici appunto) dell’attività sia con i ferri che all’uncinetto”.
“Nella sua pratica clinica – racconta – aveva osservato, e poi descritto in diverse pubblicazioni, che i soggetti abituati a lavorare a maglia, soprattutto donne naturalmente, avevano come ‘una marcia in più’ rispetto ad altri malati, sotto molti punti di vista: maggior calma, meno ansia, persino meno dolore nel post operatorio. Inoltre, una maggior riserva di ‘positività’, e quindi di ottimismo, derivante dall’aspetto creativo del knitting: abilità manuale, lucidità nel far di conto, gusto nella scelta dei colori”. Lavorare a maglia è come meditare? E’ una delle ipotesi che lo studio del Besta ha voluto verificare.
“Questo progetto si fonda sull’idea che il lavoro a maglia influisca sull’attenzione in modo simile”, migliorando anche allo stesso modo salute mentale e benessere personale, spiega Tiraboschi. “E lo studio dimostra come il knitting abbia la capacità di accrescere la concentrazione delle persone come avviene dopo aver meditato”. Tuttavia, prosegue, “mentre la meditazione solitamente coinvolge un controllo attentivo e regolatorio dall’alto verso il basso, l’uncinetto richiede movimenti coordinati delle dita e attenzione rapida ai dettagli, suggerendo un coinvolgimento delle reti attentive in modo diverso.
La discussione suggerisce che l’uncinetto potrebbe agire come un esercizio riabilitativo intensivo che coinvolge entrambe le mani”. Un altro dei punti indagati è la possibilità che sferruzzare possa contribuire allo sviluppo di protocolli dedicati anche alla riabilitazione cognitiva in alcune patologie del sistema nervoso. L’ipotesi di partenza è che sia possibile influenzare positivamente il recupero o diminuire la velocità di progressione di alcuni sintomi nelle malattie neurologiche, attraverso il lavoro a maglia.
La complessità del lavoro a maglia, esigente sia sul piano ideativo che manuale, suggeriscono gli esperti, potrebbe favorire lo sviluppo di strategie alternative di comportamento motorio e influenzare positivamente le attività cognitive, prima tra tutte l’attenzione.
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