“Geisha” è un termine giapponese che letteralmente significa “persona d’arte” o “artista”. Per incominciare a parlare di questa figura dovremmo aspettare circa il 1600, prima invece c’erano le cosiddette “saburuko” ovvero delle cortigiane specializzate nell’intrattenere le classi nobiliari e che furono poi rimpiazzate dalle “juuyo” cioè delle prostitute d’alto bordo. Le prime geishe non erano donne, bensì uomini ed erano più simili a dei giullari medievali. Con il passare del tempo però incominciarono a sopraggiungere sulla scena le figure femminili che con la loro grazia e i movimenti flessuosi si contrapposero agli uomini fino a sostituirli del tutto. Nel 1617 la legalizzazione della prostituzione permise alle geishe di soppiantare le juuyo e furono creati dei quartieri appositi, detti hanamachi, in cui sorsero le famigerate “case da tè” e gli okiya. Alla fine dell’Ottocento si diffuse in tutta Europa un movimento soprannominato “giapponismo” grazie ai commerci inglesi.
Artisti come Manet, Van Gogh e Klimt furono profondamenti influenzati dalla cultura e dalle tradizioni di questa sconosciuta ed esotica nazione. Purtroppo le reali usanze furono travisate dalla cultura occidentale come dimostra il comportamento dei soldati americani che quando sbarcano in Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale credevano di trovare delle donne del tutto asservite e dedite al piacere, invece le geishe erano ben differenti da ogni aspettativa.
Tutt’oggi, anche a causa dell’influenza del cinema e dei media, l’idea della geisha non è legata a una figura artistica ma ancora a quella di una prostituta molto costosa. Sicuramente ciò dipende anche dalla scarsa conoscenza degli ardui percorsi di studio e dei difficili sacrifici che deve intraprendere una donna per diventare una geisha. Tradizionalmente una giovane ragazza era sottratta dalla propria famiglia, dietro lauto compenso, e dopo una visita medica molto approfondita era portata nell’okiya, dove avrebbe incominciato la sua preparazione.
Nella prima fase di apprendimento era definita “shikomi” e il suo compito era di occuparsi delle geishe e di aiutarle a gestire i vari appuntamenti. Poteva poi frequentare delle scuole apposite per imparare a suonare il flauto, a ballare, a cantare e a servire il tè. Inoltre le erano impartite nozioni di letteratura e poesia in modo da poterne far sfoggio ed essere in questo modo notata. Una volta superato l’esame di danza diveniva una “minerai” ed era affiancata da una “sorella maggiore” ovvero una geisha esperta che la accompagnava ai vari banchetti e la introduceva nella cerchia delle sue conoscenze. Dopo poco tempo cominciava la terza fase e la ragazza diveniva una “maiko”. Questo periodo di apprendistato poteva durare fino ai cinque anni, dopo i quali la maiko era promossa a geisha. Il rituale di formazione e di educazione nel ventunesimo secolo rimane quasi del tutto invariato.
Ma quali sono le reali competenze di una geisha? Sicuramente è una donna di spiccata intelligenza e che presiede e ravviva eventi sociali. Diversamente da come molti ritengono, non fornisce prestazioni sessuali. E’ una donna libera e nubile che può anche decidere di sposarsi e ritirarsi dalla professione. In passato solitamente le geishe avevano un protettore chiamato “danna” che si occupava di pagare tutte le esose spese. Oggigiorno questa figura non esiste quasi più a causa degli eccessivi costi legati allo stile di vita e questo è anche il principale motivo per cui l’arte di essere una geisha sta scomparendo sempre di più. Le comunità che resistono sono quelle di Tokyo e di Kyoto. Inoltre la mutata condizione della donna ha reso del tutto desueta quest’antica pratica essendo il tirocinio eccessivamente difficile da conseguire.