Il filo che lega questi testi di Pataro è l’amore. Un amore ancora acerbo, “sottotono e sottovoce”, al limite della purezza, ma con la freschezza e la leggiadria della gioventù. Non potrebbe essere altrimenti, Pataro è giovanissimo, non ha ancora compiuto venti anni, ma già in grado di aprirsi a quel sentimento che lega tutte le leggi del mondo, cioè, l’amore, fino a toccare le corde dell’anima, un pregio che non si trova tutti i giorni in un giovane, anche se alla fine tutto rientra in quella spensieratezza e giocosità, in quella sfrontatezza e incoscienza – proprio della sfera giovanile – per rotolare la notte “come pentole rotte / per fracassarci le spalle con morbide ferite / tra le crepe fiorite dell’asfalto”, per trovare nell’amore “ancora acerbo” quello che la società odierna tende a sostituire con il freddo ragionamento che tutto debba passare per il mercato, per il potere dell’economia:
Paradossi
il paesaggio cieco che guarda nei tuoi occhi
l’invisibile matita che disegna i tuoi spettri
il fradicio profumo con cui ricopri le tue paure
il dolce sudore che riga la tua pelle
la sorda eco che risponde ai tuoi silenzi
la rosa appassita che annuseresti
nonostante le mie spine,
equilibrista su rancidi aghi,
restassi
Presentiamolo, allora, questo giovane poeta. Lorenzo Pataro è nato a Castrovillari (Cs) il 14/11/1998, vive da sempre a Laino Borgo (Cs). Diplomato al liceo scientifico di Lagonegro (Pz), da ottobre studio Lettere Moderne presso l’Università degli studi di Salerno.
Ha da sempre la passione per la scrittura, scrive anche racconti e uno di questi, nel 2015, è stato pubblicato in un’antologia per scopi umanitari, Uomini su carta vol. 2. Non amo definirsi né un poeta né uno scrittore, ‒ per ora, dice, ma un pensierino nel suo intimo l’avrà pure fatto! ‒, soprattutto per il rispetto che nutre verso i grandi degni di questo nome che lo hanno formato. Vedere un giovane senza grilli per la testa, senza l’arroganza dell’età di poter essere al di sopra di tutti e di tutto, è una certificazione non di poco conto che non tutta la gioventù è scollegata dalla società e/o insensibile verso il prossimo. Gli piace chiamarsi con l’appellativo di “scrivente”, ‒ come si definiva il semiologo francese Roland Barthes, un “écrivant” ‒ persona che scrive, che si libera scrivendo, ma senza pretesa alcuna.
Si può definire un viaggio, questo poetare di Pataro, su una zattera fatta di parole resistenti che non temono di andare alla deriva o approdare su nuovi lidi, consapevole che la strada che porta a costruire quei sentimenti nobili per vivere un’esistenza nel rispetto di se stessi e di chi si ama, è impervia, irta di ostacoli, ma nonostante la giovane età di Pataro, sembra non avere ancora creato crepe nella sua visione della vita.
Dirà Eleonora Rimolo, nella prefazione a Bruciare la sete (Controluna, 2018) del Nostro: «I versi di Lorenzo Pataro nascono dalla necessità di soddisfare la sete. L’autore è mosso dal desiderio di abbeverarsi alla fonte della parola (Quando sfogli la tua anima / con parole/che vorresti dire, / ma non dici), e nello stesso tempo avverte una secchezza delle fauci che diventa gradualmente un vero e proprio bruciore (Ti sei accorta / del fumo / quanto ho bruciato per te). Il discorso, dunque, si contrae, non arriva al destinatario ma si ferma in un limbo che diventa verso, che si fa testo e che riesce pertanto a aggiungere ciascun lettore con la sua molteplicità di significati):
lascia che anch’io
ti attraversi
come un frusciante foglio di luce
sottotono e sottovoce.
con gli occhi chiusi
la sua foce.
Auspichiamoci che trovi sempre questa forza combattiva, anche se sotto sotto riflette tutte le incertezze della giovane età.