L’abbonamento ad un giornale online è davvero l’evoluzione dell’informazione? Che domande fai, risponderebbe un qualsiasi esponente della nuova frontiera del marketing dell’informazione. Davvero è una domanda così pleonastica la nostra?
Ragioniamo un attimo insieme, vi va? Facciamolo come si fa in matematica partendo da un assunto di base che ci sembra epigonale: qualsiasi impresa economica si faccia, qualsiasi sia il suo fine ed i suoi mezzi, deve produrre utili e ricchezza da distribuire lungo il processo produttivo a tutti gli attori dello stesso.
Concetto economico abbastanza primitivo, se vogliamo, ma crediamo assolutamente efficace. Questo si, davvero pleonastico ed incontrovertibile. L’informazione è un servizio ed in quanto tale va pagato, ci mancherebbe altro. Far pagare chi fruisce dell’informazione è il modo giusto di procedere?
Abbonamento a un giornale e libertà dell’informazione
Si è sempre detto che l’informazione per essere davvero libera deve essere autonoma e slegata dai poteri economici e politici. L’informazione dovrebbe essere il cane da tartufo del potere economico-politico scovandone contraddizioni e mancanze e portandole a conoscenza del pubblico dei lettori.
Altra cosa che sentiamo ripeterci sempre è che l’editore vero di un giornale è il lettore e solo a lui chi scrive dovrebbe riferirsi come stella polare della propria opera. Tutte bellissime cose, tutti principi verso i quali nessuno mai si sognerebbe di controbattere. Però, appunto, principi cioè concetti astratti che via via divengono più astrusi.
La realtà ci dice altro, purtroppo. Ci dice che nessun giornale, ovviamente nessun giornale grande – cioè di grandi dimensioni nazionali o internazionali – perché poi di grandi giornali non ne esistono davvero più, è libero. Tutti debbono sottostare al mercato della pubblicità e la raccolta pubblicitaria in Italia è proprio una di quelle attività che un giornale serio dovrebbe mettere sotto la lente d’ingrandimento.
Abbonamenti e notizie
La soluzione abbonamento, quindi, sembrerebbe la più idonea a restituire dignità e indipendenza al lavoro giornalistico sganciandolo dal giogo pubblicitario a prima vista. L’abbonamento è legato alla numerosità dei lettori: più ne ha un giornale più il serbatoio dell’introito diretto dalla vendita è cospicuo, no?
Questo articolo sembra che stia diventando la fiera dell’ovvio e del banale a quanto pare.
I lettori, almeno stando a quanto ci insegnavano i saggi di questo mestiere quando abbiamo iniziato a pigiare i polpastrelli sui tasti di una vecchia “lettera 35”, si dovrebbero catturare con due cose fondamentali: le notizie e la capacità di scriverle affascinando pur rimanendo ligi al dovere deontologico di attenersi ai fatti.
Abbonamenti, clickbait e fake news
Abbonamenti, clickbait(ing) e fake news, invece, vanno molto a braccetto e si ritrovano tutti sempre in un picnic informativo davvero letale. I giornali online, ormai, sembra più essere un prodotto tagliato per i social che per i lettori ( di cui sopra n.d.r.).
Gossip e nera la fanno da padroni senza ombra di dubbio ed il cattivo gusto impera sconfinando spesso nella decadenza deontologica e rasentando il codice penale. Minori sbattuti in prima pagina, improbabili storie di assassinii e violenze (di genere soprattutto in questo periodo) reiterati ad ogni piè sospinto.
La morbosità di certe notizie pubblicate con tanto di foto e nomi e cognomi di semplici indagati posti al pubblico ludibrio per alimentare quella gogna mediatica che fa tanto audience e – appunto – probabili abbonamenti. La ricercatezza nel mettere sempre in evidenza la provenienza dei protagonisti delle notizie stesse come se ad ammazzare fosse diverso se lo fa uno di Carate Brianza o uno di Canicattì.
Il razzismo evidente e corroborato dal crogiolarsi in news che vedono protagonisti migranti di ogni specie, ma se provenienti dal continente nero tanto meglio. Il giornalismo immiserito ed asservito ad un ideologismo di giornata che vuole parlare ed aizzare pance e non certo cervelli.
Abbonamento a un giornale. Cosa vendere e cosa comprare
Di sicuro se andiamo in un negozio a comprare una camicia ne cerchiamo una che si distingua, ci piaccia e corrisponda alla nostra personalità. Perché allora quando andiamo a comprare news non esigiamo che queste abbiamo, più o meno, le stesse peculiarità? Una camicia è più importante di una notizia?
Se così fosse, se le esigenze dei lettori fossero tenute in massima considerazione di sicuro non ci troveremmo con dieci prime pagine tutte uguali, fotocopie mentali di uno stesso modo di proporre news. Dunque, non è il lettore che influenza con le sue scelte l’editoria ma proprio tutto l’opposto.
L’informazione da cane da tartufo si è trasformata in cane da presa del potere. Un cane che lecca la mano “generosa” del padrone che tipo d’informazione è? E’ tutto marcio, allora?
Tutto da buttare?
No fortunatamente no, esistono ancora una miriade di piccole e microscopiche testate che fanno solo il lavoro giornalistico così come glielo hanno insegnato: a partire dal taccuino e una biro che spesso non scrive; scendendo per strada e incrociando le persone vere.
Non aspettando il comunicato dall’istituzione di turno e cercando di capire ogni giorno cosa interessa ai lettori. Sono quelle testate che non troverete mai consultabili con un abbonamento perché sanno che l’abbonamento a questo modo di fare informazione non lo farà mai nessuno.
Sanno che come tenteranno di mettere il naso nei circuiti giusti verranno schiacciate inesorabilmente.
Se potete, aiutate questa editoria non quella che vi chiede un abbonamento dopo aver rastrellato tutto il possibile nel mercato della pubblicità e vi propina le stesse notizie di tutti gli altri. La libertà di stampa non è solo quella che muore quando una grande testa si ridimensiona o scompare ma, soprattutto, quando chi fa piccole testate è schiacciato e tenuto in un angolo dal sistema.