La Caritas è, da anni, impegnata sul fronte sociale della migrazione. Offriamo la testimonianza dati ed opinioni della Delegazione Caritas della Campania nelle persone del Delegato, Sacerdote Carmine iusti, e del referente per l’Immigrazione
Cos’è oggi l’immigrazione in Campania e a Napoli?
Oggi, a Napoli ed in Campania, l’immigrazione è un elemento strutturale e non più congiunturale della nostra società . Con circa 170.000 migranti regolari, la nostra regione è prima nel Meridione. Nel corso degli ultimi vent’anni, per quanto concerne il fenomeno migratorio, la Campania ha vissuto situazioni molto diverse, trasformandosi da terra di partenze a luogo di arrivi e, poi, da area di passaggio a regione d’inserimento stabile. I cambiamenti sono stati rapidi ed articolati, sia in termini quantitativi (peso numerico, classi di età , sesso, titolo di studio, ecc.) che in termini qualitativi (gruppi etnici, caratteristiche dei modelli migratori, modalità relazionali). Fin da primi significativi flussi che l’hanno vista protagonista negli anni Settanta del secolo scorso, s’inizia a delineare quello che verrà definito il “modello campano†d’immigrazione, caratterizzato da una struttura dualistica del modello insediativo – occupazionale: modello metropolitano, all’interno del quale trovano inserimento prevalentemente donne nel settore della collaborazione familiare e domestica; modello periferico – rurale del terziario dequalificato e del lavoro agricolo stagionale e precario, in cui trovano inserimento prevalentemente uomini. Basti pensare che la Campania, nel 1991, contava 31.801 extracomunitari: al 31 dicembre 2006 (ultimo dato disponibile n.d.r.) ne annoverava poco meno di 170.000. Oggigiorno, il territorio campano registra una presenza di cittadini stranieri pari al 45,7% delle presenze complessive nel Meridione d’Italia (Isole escluse) ed al 4,5% di quelle rilevate sull’intero territorio nazionale. La presenza migratoria, in Campania, è napolicentrica: la provincia partenopea annovera ben il 54,8% delle presenza complessive in regione e – tra l’altro – è l’unica provincia del Meridione a superare la soglia delle 40.000 presenze. Seguono, nell’ordine, Caserta (19,7%), Salerno (16,7%), Avellino (6,5%) e Benevento (2,3%). Sono ben 156 le nazionalità rappresentate nel campione campano, con una netta supremazia dei Paesi dell’Europa Centro Orientale (PECO) ed una costante ascesa di quelli dell’Estremo Oriente, mentre le differenze di genere, ancora una volta, segnalano la prevalenza delle femmine (60,5%) sui maschi (39,5%). Ucraina, Polonia, Marocco, Cina Popolare, Albania, Sri Lanka e Romania sono le nazioni dalle quali provengono più numerosi i cittadini stranieri residenti in Campania. Sostanzialmente equilibrato il rapporto tra coniugati (52,3%) e celibi/nubili (42,2%). Proprio le donne sono maggioranza all’interno delle rispettive comunità originarie dell’Europa dell’Est, in special modo nelle province di Napoli, Avellino e Benevento.
Che rapporto c’è tra gli immigrati e la popolazione?
Dilaga la precarizzazione del lavoro degli immigrati (in campagna, come in fabbrica, in casa come in laboratorio ormai il refrain è soltanto uno: immigrato = manodopera a basso costo!), mentre le esasperazioni indotte dalla vigente legislazione portano sempre più cittadini stranieri ad arruolarsi nelle fila della malavita. Degrado, immondizia, sporcizia, contraddistinguono il quotidiano di troppe tra queste persone: non è facile esigere decoro sociale da chi non si vede riconosciuta alcuna dignità . Inoltre, il livello di frizione tra autoctoni e migranti, si sta pericolosamente spostando dal lavoro (ormai quasi più nessuno abusa del luogo comune secondo il quale gli immigrati ci rubano il lavoro) alle prestazioni di welfare, innescando così una pericolosissima “guerra tra poveriâ€.
Abitazione, lavoro, razzismo: quali i problemi principali del migrante che vuole inserirsi nella società napoletana?
Il lento e faticoso cammino per l’integrazione e l’inclusione sociale dei lavoratori migranti nei nostri territori comincia dalla casa. Proprio quest’ultima rappresenta un fattore critico: non solo sinonimo di luogo nel quale vivere, la casa sta a rappresentare lo spazio nel quale si originano e si organizzano le prime forme di socialità , premessa ineludibile ed indispensabile per una effettiva integrazione nel tessuto sociale della comunità ospitante (relazioni di vicinato) ed un reale radicamento sul territorio (utilizzo ed accesso ai servizi del quartiere). Ed ancora: disporre di una abitazione e, con essa, avere la possibilità di fissare la propria residenza, è – per chiunque – un fattore di riconoscimento sociale e di costruzione dell’identità . Risiedere ufficialmente, rappresenta anche la condizione indispensabile per usufruire di servizi fondamentali o rispondere alle richieste di una qualsivoglia procedura burocratica: la casa diviene, dunque, elemento fondante dal punto di vista formale dell’attribuzione di determinati diritti e prerogative. E, dunque, quello della casa rappresenta il primo passo per fornire una adeguata risposta alle problematiche connesse alla crescente presenza di lavoratori migranti: il problema abitazione è un nodo cruciale da sciogliere al più presto se si vuole, almeno in parte, risolvere alcune delle istanze poste da questa nuova presenza sociale. Quanto la malavita è in grado di adescare immigrati e in che modo ne sfrutta le difficoltà ? La convivenza multietnica non è un traguardo agevole da raggiungere. Del resto, clandestini e regolari sono due facce del medesimo problema: come creare le condizioni per una società inclusiva, una società dell’accoglienza che sappia trasformare l’emergenza in normalità ? In pratica, si tratta di superare l’atteggiamento che vede, nell’immigrazione, una questione di ordine pubblico o, tutt’al più, una risorsa per l’economia nazionale. Sono senz’altro da considerare i rapporti con la criminalità organizzata autoctona, purtroppo in continua espansione. Già da tempo gli inquirenti riflettono circa il fatto che, esaminate accuratamente le modalità di esecuzione di delitti collegati alla rivalità tra gruppi di camorra per il controllo del territorio, i killers – sempre più spesso – potrebbero essere stranieri, in particolare balcanici oppure originari dell’Europa Orientale. Il disfacimento dell’ex U.R.S.S. e dei regimi comunisti, con la dismissione degli armamenti e la drastica riduzione degli organici dei corpi armati deputati alla sicurezza, nella maggior parte dei casi, ha messo sulla strada uomini che militavano nelle forze di polizia o negli apparati di security nazionale. Gente esperta nell’uso delle armi, che non ha bisogno di usare droghe di alcun tipo per “caricarsiâ€, ben addestrata, fredda e spietata, che porta a termine il compito assegnatole e, magari, subito dopo, rientra in patria. E, laddove incappa nelle maglie delle forze dell’ordine, non ha rivelazioni da fare, non conosce nomi e circostanze, può forse soltanto riferire il nome di battesimo del connazionale che l’ha ingaggiato per conto della camorra. Inoltre, in particolare nel Casertano, sono stati provati molti riscontri della collaborazione tra malavita immigrata e clan camorristici locali. Detti rapporti di collaborazione sono stati anche tratteggiati, di recente, da qualche giovane autore di bestseller
Perché ancora oggi è diffusa un’idea sostanzialmente negativa dell’immigrato?
 Perché egli è – semplicisticamente – considerato un propagatore di malessere sociale. La clandestinità è davvero un problema così grande come dicono i politici? È doveroso precisare che, nella storia universale dei fenomeni migratori, questi ultimi incidono sempre – in maniera più o meno grave – sullo stato dell’ordine pubblico (è stato così, ad esempio, anche per noi italiani quando emigravamo negli USA). Il problema esiste, e sarebbe stupido ed ipocrita nasconderlo. Tuttavia, non di rado, esso è alimentato – in primis – dalla rigidità e dalla farraginosità della vigente legislazione. In che modo la Caritas lavora a fianco dei migranti? In tema d’immigrazione è innegabile che, in questi anni, in Campania, nonostante gli innegabili sforzi degli Enti Locali, il grado di civiltà delle nostra comunità è stato garantito – esclusivamente – dalla Chiesa, dal Sindacato, dal Volontariato, dall’Associazionismo, dalle realtà del Terzo Settore. La Caritas, con i suoi centri di ascolto, le mense, i centri di accoglienza, gli ambulatori, le scuole di lingua italiana, i progetti speciali, l’osservazione e lo studio dell’evoluzione del fenomeno migratorio nel più vasto universo delle povertà , ha recitato, recita e continuerà a recitare un ruolo di primo piano. Che cosa l’ha convinta e cosa l’ha delusa delle politiche sull’immigrazione degli ultimi anni? Convinto, ben poco: il fenomeno migratorio – da destra come da sinistra – è stato affrontato – esclusivamente – in termini di problema di ordine pubblico, mentre ne è stata, sostanzialmente, mortificata la valenza e la rilevanza di grande fenomeno di cambiamento sociale in senso pluralistico. Parlerei, perciò, d’un senso di grande delusione. Cosa crede che possa cambiare con le misure straordinarie che il Governo sembra intenzionato a prendere? Non cambierà un bel nulla. Tantissimi disperati continueranno ad arrivare qui da noi, così come in altre parti dell’opulento Occidente. Non si può, semplicisticamente, assimilare ad un delinquente una persona che si macchia d’irregolarità amministrativa. Anche perché, il nostro sistema carcerario è già al collasso, e non potrebbe certo contemplare la messa in detenzione di diverse centinaia di migliaia di immigrati clandestini. La soluzione, laddove beninteso possibile, sta in un riequilibrio della distribuzione della ricchezza a livello mondiale: non possiamo continuare pensare che il 20% della popolazione mondiale viva nell’agio e nei lussi, mentre l’80% resti a guardare gli altri che si “abboffanoâ€. La migrazione ha precise cause storiche (e sulle quali l’Occidente ha gravissime responsabilità ), che vanno analizzate a fondo prima di emettere sentenze che rischiano – seriamente – di farci scadere nel qualunquismo o, addirittura, nel ridicolo. Ciò che emerge dall’intervista, innanzitutto, è la consapevolezza della portata del fenomeno migratorio, sia in termini prettamente numerici che per quanto concerne la sua portata sociale. Si tratta di una situazione in forte cambiamento, che non vi è alcuna possibilità di controllare in termini polizieschi, ma soltanto mediante un’accorta politica di aiuto ed integrazione, finora adottata soltanto dalle strutture di volontariato. Profonda, invece, la delusione che emerge nei confronti delle istituzioni: i governi susseguitisi negli ultimi anni non sono stati capaci di accompagnare e guidare la trasformazione pluralistica della società né sembra che le nuove norme adottate dal governo Berlusconi si muovano in senso contrario.: la galera non sarà la soluzione al problema, e avrà semplicemente la conseguenza di gravare sul già pericolante sistema carcerario nazionale.Â