Che il napoletano sia una lingua letteraria è risaputo. Dalle fiabe di Gian Battista Basile del ’6oo, una delle quali fu ripresa nella Gatta Cenerentola di Roberto De Simone portata brillantemente a teatro negli anni Settanta dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare, alla poesia dell’Ottocento e del Novecento, che ha dato fra l’altro testi pregiati alla canzone napoletana classica, fino al teatro, da Petito a Scarpetta a Viviani ai De Filippo, per non parlare delle opere prodotte fino a qualche decennio fa (basti il nome di Annibale Ruccello per non far torto a nessuno), il napoletano ha avuto ed ha tuttora una fiorente letteratura.
Poco nota, invece, è la parte importante che in questa letteratura hanno avuto le traduzioni di testi famosi nel nostro dialetto. Potremmo citare subito La Tempesta di Shakespeare tradotta da Eduardo De Filippo, ma vogliamo procedere con ordine, perché anche un mero elenco dal Duecento al Duemila è tale da stupire il lettore più preparato in materia.
Eh sì, si parte dal Duecento, con due “volgarizzamenti” (si chiamano così le traduzioni dal latino ai “volgari”, cioè alle lingue parlate come il toscano, il siciliano, il napoletano etc. fino al Cinquecento, quando ormai si distingueva la lingua italiana dai dialetti) che sono i primi testi non religiosi scritti in volgare in Italia.
Uno è I bagni di Pozzuoli, tradotti in versi rimati dal De balneis Puteolanis scritto in latino poco prima del 1200. Ecco, per fare solo un esempio, come veniva pubblicizzato il bagno di Trepergule, ossia Tripergole, un villaggio medievale sul lago Lucrino noto appunto per le sue acque termali e distrutto nel 1538 dall’eruzione da cui sorse il Monte Nuovo.
“Chi è pigro e debele, chi povertate sente / ad chisto bagno utile venga frequentemente”
L’altro è il Regimen sanitatis, scritto nell’ambito della Scuola Medica Salernitana e tradotto in versi napoletani verso la fine del secolo. È una serie di consigli utili per la salute. Eccone due, di cui, se il primo ci fa sorridere, il secondo è certamente attuale:
Non usare con femena che passa li trenta anni (“Non fare sesso con una donna che abbia superato la trentina”!)
De diversi cibarii guardate no te affanni / che se multo lo carreche, lo stomaco condanni (“Guardati dal rimpinzarti di cibi diversi / perché se carichi molto lo stomaco, ne comprometti la salute”).
Si sarà notato che il napoletano usato in questi testi risente molto sia del latino che del toscano, come se il traduttore avesse voluto in qualche modo “nobilitare” il linguaggio: infatti il latino era la lingua dei dotti e il toscano era già considerato prestigioso in buona parte dell’Italia.
E infatti nel secolo seguente, il Trecento, non si scrive quasi più in napoletano. Fa eccezione ancora una volta (a parte una lettera di Giovanni Boccaccio di cui avremo modo di parlare in seguito) proprio una traduzione.
S’intitola Libro de la destructione de Troia e racconta vicende mitiche sulla guerra di Troia, in parte tratte da antichi testi e in parte inventate, ma comunque attualizzate secondo i costumi e i canoni dell’epoca, per cui gli antichi eroi, Ettore, Achille etc., diventano dei perfetti cavalieri medievali.
Il Libro de la destructione de Troia è una traduzione in napoletano della Historia destructionis Troiae (attribuita a un poeta siciliano, Guido delle Colonne) che a sua volta era una traduzione in latino di un romanzo cavalleresco francese, il Roman de Troie.
Pubblicato nel 1986 a cura del prof. Nicola De Blasi, il Libro de la destructione de Troia è in prosa, e ne diamo qui un minuscolo saggio, una frase tratta dal racconto di una battaglia fra Greci e Troiani: E li Grieci aveano mo’ tanto vottato per forza li Troyani che yà li Troyani erano quase recolati appriesso la mura. (“E i Greci avevano ora talmente spinto con la loro forza i Troiani, che già i Troiani erano indietreggiati fin presso le mura”).
Già in questa sola frase si possono riconoscere alcune parole tipiche del nostro dialetto, che usiamo quasi tali e quali ancora oggi: mo’ (“ora”), vottato (il nostro “vuttato”), appriesso (nel senso di “presso”, mentre noi lo usiamo nel senso di “dopo” e “dietro”).
Sperando che l’argomento abbia incontrato la curiosità di qualcuno, ci fermiamo qui per motivi di spazio, per riprendere il discorso la prossima settimana con le traduzioni dal Cinquecento al Settecento. Successivamente parleremo delle traduzioni moderne, che ancora oggi continuano ad occupare una nicchia consistente della produzione letteraria in napoletano.