Dopo il positivo riscontro ottenuto al suo debutto romano, arriverà al Teatro Nuovo di Napoli, per due repliche straordinarie, La Tarantina di Fortunato Calvino, spettacolo tratto dal film-documento“La Tarantina, Genere Femm(è)nell”, realizzato dall’Università degli Studi di Napoli – Federico II, nell’ambito di SINAPSI – Servizio Anti-Discriminazione e Cultura delle Differenze, con la realizzazione audiovisiva CSI-SAM, Fondazione “Genere Identità”, e da un’intervista alla protagonista.
Presentato da Metastudio89, l’allestimento nasce da un’idea dell’autore e regista partenopeo, che dirige La Tarantina, l’ultimo femminiéllo dei Quartieri Spagnoli di Napoli, affiancata, in scena, da Stefano Ariota, Roberto Maiello, Carlo Di Maio, Antonio Clemente.
La Tarantina (al secolo Carmelo Cosa), di origini pugliesi, arriva a Napoli subito dopo la guerra ancora minorenne. Attraverso la forma scenica di una “piéce-testimonianza” si raccontano il suo avvio alla prostituzione, le persecuzioni della polizia e la partenza per Roma.
E’ proprio nella capitale che la Tarantina visse la sua personale e trasgressiva dolcevita, conoscendo nomi come Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini, Laura Betti, Goffredo Parise e Novella Parigini, la pittrice famosa per le sue donne con gli occhi di gatto, che la ebbe più volte come modella.
“L’esigenza di portare in scena un vero femminièllo – sottolinea Fortunato Calvino – nasce dai ricordi stessi della Tarantina e portarla su un palcoscenico è stata un’esperienza unica. Girando il film-documento, ho capito che sarebbe stato interessante e unico averla su un palco a raccontare la sua vita, senza freni e limiti. Ho costruito un percorso lavorando su due livelli: la costruzione di uno spettacolo che avesse al centro lei con le sue storie, insieme a tre attori, che la sostengono nei ricordi del suo passato”.
Questo mondo di ricordi, questo passato che, diversamente, sarebbe stato cancellato dal tempo, Fortunato Calvino ha deciso di “portarlo” in scena, e la Tarantina, sola con la sua straordinaria forza, racconta la sua vita, i suoi ricordi, fatti di momenti di gioia e di dolore. La sua storia è dura, seppur raccontata con autoironia e in un dialetto che rende tutto più leggero, ma è come un lungo inno alla vita e all’arte della gioia. Lei è riuscita ad andare avanti, è sopravvissuta. Ha così tenuto tutto, fatto diga e argine ai soprusi, alla povertà e all’esclusione che, a ottantadue anni, calca le scene e ci racconta la sua esistenza.