Una storia non archiviata quella dei molti cittadini stranieri che arrivano in Italia per poter ricostruire la propria esistenza e sfuggire alle sofferenze del paese di provenienza. Una vicenda antica, che cambia nome ma non i fatti. Lo chiamiamo “caporalato”, lo sfruttamento illegale del lavoro agricolo dell’epoca moderna.
Il fenomeno prende nome dal cosiddetto caporale, ossia la persona che, di primo mattino, si reca in luoghi generalmente ampi quali piazze o grandi spazi periferici, per radunare e, letteralmente, assoggettare manodopera non specializzata per condurla nei campi o nei cantieri edili.
Il diretto responsabile del caporale, talvolta accompagnato da collaboratori, è chiamato faccendiere a sua volta facente capo ad una figura di rango superiore. Una vera e propria organizzazione di compiti e mansioni.
Il pagamento delle persone sfruttate avviene per lo più a nero, le somme sono ben lontane dagli standard sindacali, circa 3 euro all’ora. Alcuni non percepiscono nemmeno quella manciata di euro e sono costretti a lavorare gratuitamente per il loro padrone con la scusa di un debito mai contratto.
Contrariamente a quanto si possa immaginare, la pratica è diffusa nelle regioni del Nord Italia così come al Sud.
Queste persone, vivono in condizioni d’igiene precarie, ghettizzate e talvolta maltrattate dai propri caporali, in barba al rispetto di qualsivoglia diritto umano.
Lavorano dalle 12 alle 14 ore al giorno per quei 3 euro contro gli 8,60 previsti per il lavoro nei campi. Per intenderci: un raccolto di media durata ( un mese e mezzo circa) comporterebbe, una paga di 70 euro al giorno, mentre in questi casi costa all’incirca 25 euro e dura una ventina di giorni.
I dati della Coldiretti sono molto chiari: il settore dell’agricoltura conta un milione e 200 mila addetti, un quarto di essi sono operai stranieri, per cui si contano almeno 400 mila persone a rischio sfruttamento.
Il giro d’affari legato al business delle agromafie, secondo le stime della Direzione nazionale antimafia, è di 12,5 miliardi di euro all’anno. L’evasione contributiva legata solo al caporalato è stimata intorno ai 600 milioni di euro.
Nel Settembre del 2011 è stato introdotto il reato di caporalato e nel Luglio 2012 è stata adottata una misura volta alla concessione del permesso di soggiorno ai lavoratori che denunciano i propri sfruttatori. I provvedimenti legislativi, tuttavia, non sono riuscito ancora ad incidere significativamente sulla situazione. E’ molto difficile che queste persone, già in stato di precariato, escano allo scoperto. Spesso sono intimorite dalle istituzioni del Paese tanto quanto dai propri sfruttatori, per il solo fatto di essere clandestini.
Quello dello sfruttamento è un problema che non riguarda soltanto, le agromafie e il lavoro nei campi, purtroppo è una pratica che prende forma anche per lavori d’occasione come la ristrutturazione di edifici, posti in essere da privati. La manovalanza straniera pagata al nero è chiaramente più conveniente. C’è da dire, che il costo del lavoro italiano è altissimo ed è al limite dell’insostenibile per gli imprenditori, basti pensare a tutte le aziende che chiudono le loro sedi italiane per avviare le loro attività all’estero. Questo non giustifica lo sfruttamento del lavoro straniero, tuttavia, se si potesse rendere più facile l’accesso ai costi per gli imprenditori, il fenomeno potrebbe essere in qualche modo limato.