Zakaria aprì gli occhi, trovandosi di fronte a un giardino che non aveva mai visto prima, abituato com’era ai paesaggi bellici di Baghdad. Un punto verde con azalee sparse sul prato, avvinte tra i cespugli, appese sugli alberi.
Aveva dodici anni, l’Iraq come unico riferimento, il suo volto stanco e spento rinvigorito dai fiori. Si avvicinò alle azalee, le toccò. Sentì il loro profumo e se ne invaghì, rubandone una e custodendola dentro pantaloni stretti a doppio giro con uno spago, e nonostante il fitto nodo, un altro ragazzino magro come lui vi si poteva infilare dentro nello stesso momento con estrema facilità.
Zakaria superò uno stretto corridoio di cespugli, sentì alcune fitte al braccio, probabilmente si trattava di spine. Udì una voce provenire da lontano avvicinarsi a lui.
“Zakaria! Zakaria!”.
Il ragazzo sentì il suo nome sempre più forte ogni attimo che passava. Notò una figura alta avvicinarsi, dai capelli lunghi e castani. Aveva gli occhi gonfi di lacrime che gocciolavano come sale grosso. Prima lo vide camminare, poi correre.
Era suo padre Yusuf.
Zakaria si girò con fare sospetto. Oltre quei sudici pantaloni, indossava una maglietta che sembrava riposta in un cassetto da secoli e divorata dagli acari. “Non abbiamo nient’altro che questo, Zakaria”, gli ripeteva sempre sua madre Zahira.
“Baba…sei tu?”
“Si, figliolo! Che ci fai qui? Dovresti essere con la mamma…”.
Zakaria venne travolto dall’abbracciò del padre, due anni dopo l’ultima volta. Due anni in cui il giovane non ebbe più notizie di suo padre: non aveva una spiegazione, era sparito senza lasciare traccia. La maglietta di Zakaria si ritrovò inzuppata dalle lacrime di Yusuf.
“Perché piangi, Baba? Ci stiamo rivedendo, dovresti essere felice…”
Mentre lo lasciava libero da quel caldo abbraccio, dalla bocca di Yusuf uscirono solo due parole.
“Mi dispiace…”, e continuò a singhiozzare.
Poi proseguì: “Mi dispiace, amore mio. Io non volevo…”
Zakaria sapeva bene che tutto accadeva per una ragione precisa: il volere di Allah. Quando Yusuf era scomparso, Zakaria aveva colto il messaggio: essere il capo della famiglia. Gli venivano in mente Kash, Ajad e Serbe, alcuni suoi amici che lo erano diventati già da tempo. Adesso era arrivato il suo momento. Oppure quando la sua ummi, la sua mamma, un giorno decise di partire, dicendo basta a quella vita piena di dolore e colma di fughe tra le strade paludose di quella maledetta città. Ciò per Zakaria significò la ferma volontà di provare a cambiare le cose, senza abbandonare quello che aveva avuto dalla vita. Rimanere e non scappare, non come un codardo qualsiasi.
Cos’è che stava cercando di comunicargli stavolta, Allah?
“Ma dove sei stato, Baba?”
Yusuf schernì la voce: adesso non c’erano più lacrime, ma sudore che colava dalla fronte.
“Ricordo i primi insegnamenti con un aquilone in cielo, gli abbracci caldi non appena tornato a casa, quel sorriso e quegli occhi cristallini che mi trasmettevano serenità e che professavano innocenza e purezza. I tuoi occhi non li avrei scambiati neanche per il bene più prezioso che mi sarebbe mai stato offerto nell’intera vita, figlio mio”, gli disse.
Zakaria scrutò lo sguardo del padre, mentre le goccioline di sudore gli cadevano sui vistosi tagli che aveva in viso. Non gli sembrava per niente sereno.
“E poi, figliolo, sono sempre stato qui”, continuò Yusuf.
“E che posto è questo, non è pericoloso?”
“Qui nulla è pericoloso, Zakaria. Non sarei mai voluto andare via, ma la vita mi ha offerto questo. È stata la volontà di Allah. Tu sai bene cosa significa…”.
Sentendo quelle parole, Zakaria non poté fare a meno che sorridere. Si sentiva fiero.
“Si, Baba! Adesso sono a capo della famiglia. Non ho avuto paura nemmeno per un secondo, però ti prego, dimmi perché te ne sei andato…”
Il viso di Zakaria ricevette una carezza dal padre, la fronte venne pregiata dal suo bacio. Rammentava quella volta in cui Yusuf gli disse: “Prima o poi, parleremo da uomo a uomo”. Quel momento era giunto. Zakaria non si sentiva più un ragazzino. E sperava che Baba potesse esserne fiero.
“Te lo dirò appena sarai pronto. Non è questo il momento, ma ti prometto che capirai ogni cosa. Come sta tua madre?”
“Sta bene, Baba. Su di te non mi risponde mai, stava pensando di lasciare Baghdad e andare via. Però l’ho fermata, come fa un uomo pieno di responsabilità. Sono stato bravo, Baba?”
Zakaria era giovanissimo, eppure aveva letto il Corano e aveva cercato di onorarlo e rispettarlo nei minimi dettagli. Desiderava essere un grande uomo e uno splendido padre.
“Hai fatto la cosa giusta. Siamo quello che Allah ci dice di essere. Se la nostra vita è qui, qui dobbiamo restare. E rendergli grazia, sempre, figlio mio. Adesso però devo andare…”.
Nel frattempo, Zakaria udì una voce femminile alle sue spalle: “Abn…abn…”. Si voltò, ma non vide nessuno.
“Baba, no! Io voglio stare con te”, gli confessò, aggrappandosi ai vestiti del padre.
“Devi tornare da tua madre. Non puoi stare con entrambi. O con me, o con lei. Scegli, Zakaria”.
Non voleva scegliere, non poteva. Suo padre non sapeva quanto stesse faticando per non far mancare nulla alla sua ummi, per renderla felice e fiera.
Zakaria era di fronte a una scala con dieci gradini di marmo grezzo, così come Yusuf. Quest’ultimo si allontanò, salendo un gradino per volta. Si passò una mano sul volto, rimase impregnata di acqua d’uomo. Piangeva ancora.
“Perché Baba sale le scale…”, si interrogava Zakaria.
Poi però pensò a Zahira: sua madre aveva bisogno di lui. Era il capo di famiglia, non poteva abbandonarla.
Decise di separarsi da suo padre e guardandolo per un’ultima volta non poté trattenere le lacrime.
Dieci scalini che non volevano dire nulla, ma che invece annunciavano tutto.
Zakaria perse l’azalea che aveva conservato, la vide tremare sul terreno. Un altro fiore le fece compagnia, e poi un altro. Ancora uno. I piedi di Zakaria iniziarono a tremare. Cadde e sbatté la testa: i cespugli si ammassarono senza dargli possibilità di tornare indietro.
Adesso quella meraviglia somigliava alla sua Baghdad. In entrambe non c’era via d’uscita.
Era forse questa, la volontà di Allah?
Zakaria incontrò lo sguardo di suo padre, il quale rimase immobile sulle scale. Il giovane si avvicinò e Yusuf gli tese la mano: sorrideva.
…
“Nooooooo!”
L’urlo di Zahira era assordante. Sbraitò di rabbia, di dolore. Non poteva essere accaduto davvero, non a lei.
Le doleva la spalla. Lo sparo l’aveva colpita di striscio, ne aveva udito solo il botto prima di cadere a terra. Non riusciva a muoversi. Aspettava il figlio salire le scale di casa, come ogni giorno, ma stavolta ci aveva messo più tempo del previsto.
Il suo corpo era accanto a quello del piccolo Zakaria, che si muoveva a mala pena, con gli occhi socchiusi e un proiettile in pieno petto. Era stato una delle tante vittime accidentali di alcuni spari. Zahira cercò lo sguardo del figlio, lo vide osservare il cielo grigio di quella spregevole città. Zahira la malediceva. L’aveva già fatto per Yusuf, non voleva farlo ancora per Zakaria. Non sarebbe stato né il primo, né l’ultimo bambino ucciso in quel modo. Ricordava i volti di passanti spegnersi, di padri e madri piangere, di figli increduli abbandonati al proprio destino.
Tentò di chiamarlo.
“Zakaria! Zakaria!”, ma il figlio non rispose. Ci riprovò, senza esito.
Poi lo vide sollevare una mano verso il cielo: dopo quel gesto, gli occhi puri e innocenti di Zakaria smisero di soffrire.
“Amore mio, abn, ti prego… non lasciarmi!”.
Zahira imprecò al cielo, cercando un Allah che non c’era, mentre tamponava la grave ferita da arma da fuoco riportata dal suo amato bambino. Lei sanguinava, ma non se n’era accorta. Aveva appena detto addio a suo figlio. Zakaria aveva solo dodici anni, sarebbe dovuto essere felice.
“Dovevi ascoltarmi, figlio mio. Dovevamo andare via da qui…”.
Zahira svenne.
Pochi secondi dopo, percepì sul suo viso qualcosa di soffice. Prese in mano quel corpo estraneo, rendendosi conto di studiare un’azalea.
Si ritrovava agiata su un prato verde, con i fiori che esaltavano la magnificenza di quel luogo a lei sconosciuto.
“Zakaria! Zakaria!”
Zahira riusciva a dire solo questo.
I piedi scalzi parevano veloci come un proiettile, correva senza sosta in cerca del suo abn. Urlava ancora, che le costasse pure la voce!
Si guardò intorno, notando un groviglio di cespugli che bloccava il passaggio.
Le venne in mente il bombardamento, quello che gli aveva portato via suo marito Yusuf, e di come riuscì a sgusciare fuori dai detriti. Fece la stessa cosa tra i cespugli, ritrovandosi di fronte a un enorme gradino di marmo.
Nel frattempo, il corpo di Zahira era sotto le mani di alcuni passanti che tentavano di curarla.
“Respira ancora! Forse riusciamo a salvarla!”
Zahira alzò lo sguardo, strofinò gli occhi e li vide: Yusuf e Zakaria, con le mani giunte e un sincero sorriso. Erano insieme, sembravano sereni. Zahira si sentì osservata, scrutata, perforata da una lama. Distavano solo pochi gradini, eppure sembravano così lontani…
“Signora, respiri. Non chiuda gli occhi!”
La donna si voltò, sapeva come tornare indietro.
“Il bambino è morto, salviamo lei!”
Una lacrima le sfiorò il viso, confluendo nelle labbra sporche di terra e sangue. Yusuf non meritava quella vita. Zakaria non la meritava.
“La stiamo perdendo, non c’è più polso! Non molli signora! Allah! Allah!”
Zahira non ha più niente da chiedere a quella città, a quella vita, a quel dio. Sale le scale, stavolta non per volontà di Allah.
Uomini affranti possono solo versare lacrime sul suo corpo senza anima, con i denti digrignati e il volto emaciato. Si alzano e la lasciano lì, priva di vita, spossati per non essere riusciti a salvarla. Zahira voleva andare via da lì e c’era riuscita. Bastava scegliere di salire.