Qualche giorno fa il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, ha rilasciato un’intervista nella quale riassume lo stato della sanità campana, a suo parere tutt’altro che negativo. Stando però alla classifica dei sistemi sanitari regionali italiani, che prende in esame i dati del 2012, la sanità campana risulta occupare l’ultimo posto di questa speciale classifica, che vede al primo posto l’Emilia Romagna. Non è solo la Campania ad avere difficoltà ma è un po’ tutto il meridione a soffrire di una cronica patologia, l’inefficienza sanitaria diffusa.
Il caso campano però presenta una peculiarità, questa patologia non è mai stata arrestata, e sebbene il presidente della Regione abbia affermato che il peggio sia passato, che la situazione sta migliorando, a pagarne le spese sono sempre i cittadini che vedono il diritto costituzionale alla salute stuprato da una cattiva gestione regionale della sanità e non da ora.
Caldoro nella già citata intervista ha affermato come la regione si sia fatta carico del deficit e come lo abbia azzerato, anche se i 9 miliardi stanziati nel 2013 per riparare ai debiti devono aver dato una grossa mano alla giunta campana.
Ma quando la sanità ha iniziato a presentare le prime falle nel sistema? Il punto di rottura può essere riconducibile all’ormai storico decreto legislativo del 1999 (riforma Bindi). L’obbiettivo di quella riforma era di garantire la tutela della salute in ugual misura a tutti i cittadini, introducendo però anche elementi di competitività nel sistema per accrescere l’efficienza e l’efficacia delle cure. Le riforme del sistema sanitario per ultima quella del 2009 hanno conferito la piena autonomia alle regioni apportando quindi modifiche sostanziali relative alla gestione, organizzazione e contabilità delle aziende sanitarie pubbliche, rendendole per l’appunto delle vere e proprie aziende. È evidente come il nodo centrale attorno al quale ruotava la riforma Bindi fosse la trasformazione delle UU.SS.LL. in A.S.L. e in aziende ospedaliere A.O. Tale trasformazione ha dato il via all’evoluzione del sistema ospedaliero italiano che è arrivato ad avere l’attuale assetto grazie, non solo alla riforma Bindi, ma anche grazie alle politiche prettamente aziendali introdotte, nel caso campano, negli ultimi anni della giunta Bassolino e soprattutto da quella Caldoro.
Il periodo di Bassolino
Il debito accumulato dalla Regione Campania durante la decennale gestione di Antonio Bassolino ha toccato, stando ai dati del 2012 i 13 miliardi di euro, due miliardi di questa enorme cifra sarebbero stati accumulati durante gli anni con spese legali e interessi frutto della costante inadempienza nei pagamenti ai fornitori. Questo debito, però, è stato coperto dalla dotazione del Fondo Sanitario Nazionale di 109 miliardi, 105 dei quali sono stati destinati ai LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) riapartendoli tra le 20 regione italiane. Tale delibera risale al 26 Aprile 2013 e sebbene ora i ”conti tornino” il servizio erogato non risulta essere ancora ai livelli dei sistemi sanitari settentrionali. Ritardi, lunghi tempi d’attesa, esenzioni che ci dovrebbero essere ma non vengono applicate, sono ancora i problemi che affliggono il sistema sanitario campano. La lunga parentesi bassoliniana ha di sicuro lasciato il segno affossando il SSR. Nel novembre del 2008 infatti, e siamo ormai alla fine del secondo mandato per Bassolino, sulla scia del PDR (pino di rientro) 2006-2008 che prevedeva un forte abbattimento dei costi, la giunta campana ha varato un piano di riordino che ha ridotto da 13 a 7 il numero delle ASL. ad eccezione della provincia di Napoli. Lo scopo di questa drastica riduzione era di rendere più governabile il SSR rendendo più agevole la riorganizzazione ospedaliera. Ciò che stava alla base di questo piano era il principio di autosufficienza provinciale. I risultati però non sono stati quelli sperati. I tempi di attesa per una visita specialistica, per quanto fosse possibile, sono aumentati e i costi non sono diminuiti, ma anzi il disavanzo è continuato a salire senza mostrare una battuta d’arresto.
Nel 2009 la Regione ha nominato i commissari ad acta per favorire una efficace e veloce integrazione organizzativa delle ASL, ma dopo 18 mesi, durante i quali a Bassolino è succeduto Stefano Caldoro, l’integrazione non è stata portata a termine, probabilmente perché sono mancati quegli interventi sul piano sia macro che micro organizzativo che ci si prefissato di operare. Si può affermare quindi che un vero e proprio cambiamento non c’è stato e anzi nelle ASL campane, si riscontra un sempre più complesso assetto organizzativo.
E il futuro?
L’organizzazione di una legge quadro volta a migliorare l’erogazione del servizio sembra essere l’unica soluzione. É vero che la grave situazione economica è stata risolta, il buco della Sanità è stato sanato, ma ora bisogna riorganizzare l’offerta ospedaliera.
Privatizzare potrebbe essere la soluzione, ma a che costo? Il servizio sarebbe poi accessibile a tutti? Un’altra importante questione riguarda il Patto per la Sanità. È importante ricevere i giusti fondi ma è altrettanto evidente come la ripartizione degli stessi a livello nazionale non sia equa. Lo stato eroga fondi infatti, non per numero di abitanti ma in base all’età media delle regioni, e la Campania avendo una popolazione molto giovane risulta essere tra le regioni più penalizzate. Si predilige quindi un criterio anacronistico, abbandonato già dai nostri partners europei, invece di una divisione per numero di abitanti. L’obbiettivo è di rilanciare la sanità campana ma il processo iniziato dalla giunta Caldoro sembra essere indirizzato verso una privatizzazione di facto che non lascia scampo ai piccoli presidi ospedalieri regionali sempre più vicini alla chiusura piuttosto che al loro ammodernamento. Quattro anni fa la situazione economica era più che mai disastrata e anche se l’indebitamento è stato ridimensionato i problemi restano e 454 decreti commissariali di cui il presidente della regione va così fiero e che proprio oggi ha sbandierato ai quattro venti non hanno migliorato il servizio. La fusione delle ASL. infatti, taglia i costi ma la fuga dei pazienti rimane ancora uno dei problemi da affrontare e risolvere. Eppure La soluzione sembra essere stata sempre dietro l’angolo, potenziare le strutture pubbliche con un personale efficiente e giovane e introdurre i macchinari di nuova generazione di cui spesso i nostri ospedali sono dotati ma che che altrettanto spesso sono lasciati ammuffire nei sotterranei dei nostri ospedali. Per tagliare gli sprechi basterebbe eliminare il personale ospedaliero che scambia i corridoi dei reparti per le vie del centro. Purtroppo questo non avviene. Le risorse spesso, soprattutto con l’attuale giunta, vengono dirottate dagli ospedali ai centri privati e ciò fa si che i reparti perdano di qualità oltre che di numeri di pazienti. Un’altra sanità in Campania è possibile ma si deve necessariamente cambiare l’impostazione e la politica di intervento che negli ultimi 15 anni ha caratterizzato il comparto sanitario campano.