La presidente dell’associazione femminile della Cia, Mara Longhin ha voluto avanzare una proposta fattiva e reale per dare un aiuto concreto a chi è vittima di azioni di violenza: “Chiediamo alla presidente della Camera Laura Boldrini di appoggiare la nostra proposta, ovvero poter accogliere nelle nostre aziende le donne vittime di violenza domestica, sfruttando la legge sull’agricoltura sociale di recente approvazione“.
“Le donne hanno la grande capacità di rigenerarsi, di rialzarsi superando difficoltà anche drammatiche, nella vita come nella crisi economica, dove hanno dimostrato in questi anni di saper reggere meglio dei colleghi uomini alle fluttuazioni del mercato”. Lo ha detto la presidente nazionale di Donne in Campo-Cia, Mara Longhin, alla presidente della Camera Laura Boldrini.
“Il lavoro è una risorsa per le donne, una potente arma antiviolenza -ha spiegato Longhin-. Come già detto anche dalla Boldrini, lavorare, fare impresa, significa anche avere quell’autonomia economica, quella capacità decisionale che ci rende forti e ci sottrae a molte violenze. Violenze fisiche di cui si registra il drammatico esito, violenze psicologiche che restano sconosciute e spesso subite senza nessuna consapevolezza”. Ma spesso è il mondo del lavoro che lascia fuori le donne, soprattutto se si parla di giovani e di Sud: “E invece c’è un settore produttivo, l’agricoltura, in cui la presenza femminile si è imposta e continua a crescere. Senza bisogno di quote rosa -ha ricordato-. Oggi in Italia le aziende agricole con a capo una donna sono più di 497 mila, cioè oltre il 30% del totale, mentre le lavoratrici rappresentano quasi il 40% della forza lavoro complessiva del comparto. Con un processo graduale di ‘femminilizzazione’ che parte proprio dalle regioni meridionali“.
“Le donne, insomma, sono un caso di resilienza e di resistenza nei territori rurali, ma soprattutto sono quelle che hanno raccolto per prime e meglio la sfida di dare un futuro all’agricoltura”, ha aggiunto la presidente di Donne in Campo-Cia, “costruendo al contempo risposte concrete alla sempre più accentuata carenza di welfare che le lascia sempre più sole nelle cure familiari. Risposte che noi chiamiamo multifunzionalità, quindi agri-asili e agri-nidi, fattorie didattiche, aziende agri-sociali che includono persone disabili, anziani, migranti”.
“La forza delle donne è il ‘prendersi cura’ -ha sottolineato Longhin- e le donne dell’agricoltura lavorano ogni giorno per la salute non solo delle persone, garantendo cibo sano e di qualità, ma anche del suolo, della biodiversità, delle acque, del clima, dei sistemi naturali, delle culture e tradizioni locali. La nostra capacità creativa, dinamica, flessibile ci porta a realizzare imprese capaci di dare prima di ricevere in quella compartecipazione tra natura e donna, che è la capacità di generare la vita. Questa capacità ci rende sensibili a un modello d’impresa che deve essere sostenibile non solo dal punto di vista economico, ma ambientale e sociale, nella lungimiranza di salvaguardare il bene ‘terra’ (generatrice di vita) per le generazioni future”.
E “proprio nell’ottica del nostro dinamismo che ci rende sempre protagoniste, lancio una proposta, chiedendo alla presidente Boldrini di appoggiarla e sostenerla: sono anni che le nostre aziende femminili impegnate nell’agricoltura sociale -ha evidenziato Longhin- cercano di ospitare donne vittime di violenza costrette a fuggire, a volte con i loro figli, dalle proprie case. L’ambiente di un’azienda agricola può rappresentare, in momenti così drammatici in cui nuclei familiari vengono spezzati, il mantenere la ‘visione’ di ‘un futuro ancora possibile’. Chiediamo che la legge sull’agricoltura sociale di recente approvazione, nei suoi decreti attuativi, colmi questa lacuna e renda possibile alle nostre imprenditrici e all’agricoltura sociale più in generale di accogliere le donne vittime di violenza per dare loro quel benessere psicofisico che il nostro ambiente agricolo può. La terra -ha chiosato la presidente dell’associazione femminile della Cia- non fa discriminazioni, è inclusiva e, nel dedicarsi a essa, ognuno ha sempre trovato il suo ruolo, la sua dignità, proprio perché chiunque, se messo in grado, può far emergere la sua ‘capacità di fare'”.