E’ il 20 febbraio 1958 e la legge n.75, più nota come Legge Merlin, stabilisce la chiusura delle case di tolleranza, abolendo di fatto la regolamentazione della prostituzione in Italia. Sono introdotti una serie di reati che puniscono non la prostituzione in sé, bensì lo sfruttamento delle persone, punendo “chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui” (art. 3, n. 8, l. 75/1958). Insomma: se la legge italiana non vietò, allora, la possibilità di prostituirsi, e di disporre quindi a piacimento del proprio corpo, di fatto si ritirò da una vera e propria regolamentazione. Nei decenni seguenti questo provvedimento ha comportato la nascita di fenomeni prima inesistenti o poco diffusi. Un esempio? Si pensi all’escalation negli anni Novanta della prostituzione in strada legata all’immigrazione clandestina: donne costrette non solo a prostituirsi, ma a dividere anche i proventi con i gestori di questi traffici. Nel 2003 un disegno di legge firmato Bossi-Prestigiacomo ha vietato la prostituzione in strada, ammettendola nelle case private senza tuttavia ripristinare le case di tolleranza. Il provvedimento legislativo se in linea teorica avrebbe dovuto eliminare la prostituzione in strada, nei fatti non avrebbe impedito a fenomeni come quello dello sfruttamento di continuare all’interno di abitazioni private. Non solo. Il punto è un altro: la prostituzione in strada continua, e neanche poco. Da un lato, certo, è un reato: dall’altro, di fatto, è una realtà. Ma quante sono le donne che si prostituiscono in Italia? E inoltre: ogni prostituta è vittima dello sfruttamento, di costrizioni e umiliazioni? Non proprio. Il quadro è molto diversificato. In Italia le prostitute sarebbero circa 45 mila tra italiane e straniere, sia in casa che in strada (fonte: Parsec). La maggior parte di esse sarebbe straniera: 37 mila donne, 22 mila delle quali in strada e circa 15 mila al chiuso. Il 7% delle straniere sarebbe minorenne. Le italiane sarebbero 8 mila, e di queste quasi nessuna eserciterebbe in strada. Quante del totale sarebbe schiavizzato? Secondo i dati una minoranza, quasi completamente straniera, che andrebbe dal 7% al 15%. Questi dati confermano l’esistenza di un problema che può avere diverse letture: quella dei diritti umani, per coloro che sono quotidianamente sfruttate, ma anche quello sanitario, per coloro che, pur decidendo liberamente di prostituirsi non sono tenute ad effettuare controlli periodici. I modelli ai quali si fa ricorso per affrontare il tema della prostituzione sono fondamentalmente tre: proibizionista, abolizionista, regolamentarista. Nel primo sono reati non solo lo sfruttamento e il favoreggiamento, ma anche la prostituzione stessa: il reato è penale. Nel modello abolizionista non è considerato reato prostituirsi, ma sono puniti fenomeni quali lo sfruttamento, il favoreggiamento e il reclutamento (è il caso dell’Italia). Nel modello regolamentarista, infine, la prostituzione non è solo considerata lecita ma è anche soggetta ad una regolamentazione specifica che prevede, per chi esercita, diritti e doveri di natura fiscale e sanitaria. Naturalmente, in quest’ultimo modello sono reati lo sfruttamento e il favoreggiamento. Gran parte dei Paesi musulmani adotta un modello proibizionista, così come quasi tutti i Paesi dell’est Europa, gli Stati Uniti (fa eccezion il Nevada), ma anche Svezia, Islanda e Norvegia. Il modello abolizionista, invece, è presente in Paesi come Italia, Francia e Regno Unito, ma anche Canada, India, Brasile e Argentina. Tra le nazioni nelle quali, invece, la prostituzione è regolamentata ci sono Germania e Paesi Bassi, Ungheria e Spagna, Svizzera e Turchia.
20 Marzo 2014
LA PROSTITUZIONE IN ITALIA: CIFRE, LEGGI E CONFRONTI CON L’ESTERO
Scritto da Eugenio D'Alessio
In Italia le donne che si prostituiscono sono circa 45 mila. Il fenomeno presenta al suo interno sensibili differenze.