“Per quanto gli uomini, riuniti a centinaia di migliaia in un piccolo spazio, cercassero di deturpare la terra su cui si accalcavano, per quanto la soffocassero di pietre, perché nulla vi crescesse, per quanto estirpassero qualsiasi filo d’erba che riusciva a spuntare, per quanto esalassero fumi di carbon fossile e petrolio, per quanto abbattessero gli alberi e scacciassero tutti gli animali e gli uccelli, – la primavera era primavera anche in città. Il sole scaldava, l’erba, riprendendo vita, cresceva e rinverdiva ovunque non fosse strappata, non solo nelle aiuole dei viali, ma anche fra le lastre di pietra, e betulle, pioppi, ciliegi selvatici schiudevano le loro foglie vischiose e profumate, i tigli gonfiavano i germogli fino a farli scoppiare; le cornacchie, i passeri e i colombi con la festosità della primavera già preparavano i nidi, e le mosche ronzavano vicino ai muri, scaldate dal sole.” Con queste parole Lev Tolstoj iniziava il suo romanzo “Resurrezione” scritto tra il 1889 e il 1899.
Il rito della primavera
Per la Russia dell’Ottocento l’inizio della primavera era un momento da festeggiare: significava la liberazione dalla bianca coltre di neve che rendeva difficili le comunicazioni e gli affari; portava il disgelo dei fiumi che tornavano a essere navigabili. La scena che Tolstoj disegna con le sue parole però è ben diversa: non parla di una natura dormiente sotto la neve, bensì di una natura seppellita dalle azioni umane. In quegli anni, anche se debolmente, già si facevano notare i primi effetti della rivoluzione industriale e con essa la mano lunga e molesta dell’uomo. Di contro una natura che non si arrendeva e che vedeva in ogni spiraglio un occasione per esplodere con i suoi colori e i suoi profumi.
La primavera oggi e il Coronavirus
Se volessimo riscrivere oggi questo incipit cosa potremmo dire? “Per quanto gli uomini, riuniti a centinaia di migliaia nelle città, avessero spinto sull’economia senza preoccuparsi del pianeta che li ospitava, per quanto lo soffocassero di rifiuti, per quanto avessero mandato in fumo le foreste più grandi del pianeta, scacciato animali e persone dal loro habitat, la primavera era primavera anche in città. Il sole splendeva sulle strade semideserte. Gli alberi in fiore spuntavano tra le campane della raccolta differenziata. Da quando circolavano poche macchine l’aria era più pulita. Le temperature miti invitavano a passeggiare ma non si poteva uscire in strada. Il pianeta era stato invaso da una pandemia dal nome Coronavirus che aveva costretto le persone nelle loro case. Nonostante gli ospedali non avessero più posto per accogliere gli ammalati, nonostante le cure fossero solo sperimentali e il numero dei morti crescesse di giorno in giorno, la primavrra era arrivata. Nonostante il Coronavirus la primavera era arrivata.“
Giorni difficili
Quest’anno il primo giorno di primavera è arrivato, come una beffa, con 24 ore di anticipo. Tutta colpa di quelle ore oltre i 365 giorni dell’anno siderale che fanno recuperare un giorno ogni 4 anni. Quest’anno l’inizio della primavera è coinciso con uno dei giorni più difficili di questa emergenza sanitaria, quello che da solo ha registrato 627 morti. È chiaro che bisognerà aspettare ancora prima di vedere i risultati delle misure restrittive imposte dai decreti. Bisogna continuare a fare il proprio dovere rispettando le regole imposte dal momento. Tanto lo sappiamo che dopo l’inverno torna sempre la primavera.