Oscar Wilde, con la sua solita arguzia, diceva che “Non c’è mai una seconda occasione per fare una buona prima impressione“. Il modo di approcciarci all’altro, il tono di voce, la gestualità, la capacità di articolare armonicamente o meno le parole contribuiscono a quello che potremmo definire il nostro biglietto da visita. In molti si lasciano influenzare dalla prima impressione, decidendo istintivamente di attenersi a quella e di non scendere più a fondo. Altri sostengono invece che l’inizio di un qualsiasi tipo di rapporto con l’altro è poco indicativo e che la verità viene fuori col tempo. Chi ha ragione? Bisogna ignorare la prima impressione o darle credito?
Ogni momento che viviamo lascia una traccia permanente nel nostro cervello. Determina come percepiremo le cose e le persone nel futuro: si chiama memoria implicita e ci ricorda costantemente che dobbiamo fare attenzione, di chi dobbiamo aver paura e di chi invece possiamo fidarci. C’è una cosa però da cui la nostra memoria implicita non può svincolarci: i pregiudizi, che spesso ci impediscono di vedere le persone e le cose per come realmente sono.
Le prime impressioni hanno dunque valore nella misura in cui le nostre emozioni in quei momenti non sono ancora influenzate da tutti i giudizi che inevitabilmente subentreranno in seguito. Per immediata empatia o per contro a causa di sensazioni “a pelle” negative, possiamo captare una sfumatura del carattere di chi abbiamo di fronte, decidendo come ci comporteremo poi.
Ritornando al discorso di cui sopra, a meno che non si sia privi di memoria, è scientificamente impossibile essere esenti da giudizi e pregiudizi. Altro discorso, invece, è fare di questi parte imprescindibile del proprio modus vivendi, diventandone dunque succubi e rinunciando al voler vedere e andare “oltre”.
In conclusione, ignorare la prima impressione significa esporsi a chi potrebbe provare a manipolarci e nel contempo perdere tempo con chi non dimostra nessuna affinità con noi. Viceversa, attenersi unicamente alla prima impressione significa rinunciare a priori alla possibilità di conoscere una persona in modo più approfondito e prendere simpatie e antipatie istintive come unici parametri di riferimento per ogni rapporto. L’atteggiamento più costruttivo è quello, metaforicamente parlando, di aprirsi al “dono” senza tralasciare l’eventualità della “minaccia”.