Uno studio su diciotto diversi ceppi del virus dell’influenza condotto presso la University of Arizona a Tucson e la University of California, Los Angeles e pubblicato sulla rivista Science ha spiegato che la ”prima febbre non si scorda mai”.
La ricerca
Secondo l’analisi fatta dal team di ricercatori, la prima febbre lascia un’impronta indelebile sul sistema immunitario che determina la nostra capacità di reagire a altre influenze per tutta la vita. Per gli esperti i virus dell’influenza sono tutti diversi tra di loro ma hanno una cosa in comune, la proteina emoagglutinina (HA), una molecola molto conservata esposta sulla capsula che racchiude il virus che somiglia a un ‘lecca lecca’.
La molecola
Questa molecola ha una funzione importante nella formazione delle difese immunitarie contro l’influenza, perché è su di essa che prendono forma gli anticorpi prodotti dall’organismo.
Gli scienziati hanno visto che nei diversi ceppi di influenza esaminati ricorrono sempre le stesse due forme di HA, HA blu e HA arancione. Osservando campioni di soggetti di diverse età gli esperti hanno notato che tutti coloro che sono nati prima del 1968 hanno difese immunitarie contro i ceppi influenzali contrassegnati da HA blu, in quanto da piccoli sono subito venuti in contatto con i virus che presentavano questa molecola (gruppi virali H1 or H2 e H5 aviaria). Invece i nati dopo quella data sono immunizzati contro i virus che espongono HA color arancio perché da piccoli hanno incontrato per primi ceppi influenzali contraddistinti da questa molecola (gruppi virali H3 e H7 aviaria).
Lo stesso schema è dunque in grado di spiegare perché certe influenze sono più aggressive con gli anziani e altre con i giovani e potrebbe quindi spiegare perché certe pandemie, come la spagnola, hanno colpito maggiormente i giovani.