È doveroso iniziare questa analisi domandandoci: che cosa è la poesia in prosa? Chiediamo “aiuto” a Paolo Zublena di Poesia in prosa / Prosa in prosa (Istituto dell’Enciclopedia Italiana). «Se dunque i concetti di poesia e di prosa sono così ambigui, tanto più ambiguo, e anzi senz’altro contraddittorio – ma di una contraddizione che non può essere limitata all’indecidibilità tra due opzioni – sarà quello di poesia in prosa». Detto questo, è «ovvio che la contraddizione, addirittura insanabile, è massima se diamo un significato puramente formale a “poesia in prosa”». La poesia in prosa ‒ oggi molto di moda ‒, di cui si sono serviti anche Rainer Maria Rilke e Iosif Brodskij, appartiene ad una stagione ben definita che, in epoca moderna, parte da lontano, da Baudelaire.
Limitandoci ai giorni nostri, non prima di aver detto che la “poesia in prosa” approda in Italia sul finire degli anni ’70 ‒, ma «Tutt’altra cosa rispetto alla fortuna del poème en prose in Francia, che da Baudelaire in poi non smette di essere al centro del campo poetico (sia pure con soluzioni anche molto eterogenee: Char, Michaux, Jabès – ma insieme anche l’assai meno lirico Ponge)», il primo ad esordire con questa forma è Giampiero Neri. Lo stesso Neri, che si definisce un poeta, in un’intervista ha dichiarato che non è la poesia che gli interessa ma l’arte. I “seguaci” di Neri si contano ancora sulle dita di una mano. E menomale! Alcuni di questi sono Giuseppe Conte e Paolo Ruffilli. Per trovare un buon numero di “poeti” che si muovono sulle sue tracce, dobbiamo attendere la fine degli anni Duemila: «l’esempio più vistoso e cospicuo è quello di Valerio Magrelli (cui ormai si deve una tetralogia che inizia nel 2003 con Nel condominio di carne e finisce per ora nel 2013 con Geologia di un padre), ma da una prevalente produzione in versi partiva anche Franco Arminio (il cui testo in prosa più interessante è forse Circo dell’ipocondria, 2006: non a caso postfato da Magrelli)».
Il grosso della comitiva, però, arriva verso la fine del 2000, che presenta il punto di svolta nel 2009, «quando un gruppo di autori (Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi, Marco Giovenale, Andrea Inglese, Andrea Raos e Michele Zaffarano) grosso modo coetanei (nati tra il 1967 e il 1973) sente l’esigenza di far uscire un volume il cui filo rosso è proprio una nuova declinazione della poesia in prosa, che fin dal titolo viene rinominata Prosa in prosa (il volume esce non per caso nella collana fuoriformato diretta da Andrea Cortellessa presso Le Lettere). La prosa in prosa, anzi, la prose en prose è un’invenzione di Jean-Marie Gleize, cui i prosinprosatori italiani esplicitamente si richiamano. Gleize, collocandosi sulla linea di Ponge, di cui è anche studioso, ha definito (e praticato) la “prosa in prosa” come poesia che viene dopo la poesia, come un testo che vuole essere “letteralmente letterale”, non avere altro senso se non quello che propriamente dice». Allora perché chiamarla poesia?
Dice Fausta Squatriti: «La poesia può essere astratta, evocativa, figurativa, concettuale, ma che sia poco, pochissimo narrativa, per quello esiste la prosa. In poesia, la narrativa è quasi sempre banale». Dunque la differenza è data dalle parole che si usano in una poesia narrativa o poesia in prosa, spesso descrittive, prive di ritmo e di metafore. Partendo dall’ottava di Boccaccio (Fugge tra selve spaventose e scure, / tra boschi inabitati, ermi e selvaggi. / II mover delle frondi e di verzure, / che di cerri sentia, d’olmi e di faggi, / fatto le avea di subite paure / trovar di qua e di là strani viaggi; / ch’ad ogni ombra veduta in monte o in valle / temea Rinaldo aver sempre alle spalle), che divenne il metro tipico della narrazione in versi, dal volgare ad oggi si è sempre più spinti verso una poesia in prosa, al punto da contaminare i confini, le rispettive prerogative. È pur vero che la contaminazione (molto apprezzata e usata anche da me) è uno degli elementi della sperimentazione poetica, ma si tratta di una commistione di linguaggi, una ricerca di ritmi e sonorità inesplorati, no di generi. Insomma, la poesia non è riconducibile a un modello letterario unitario ma si applica indifferentemente a molteplici campi, a molteplici piani interpretativi, mentre la prosa ha un suo inizio e una sua fine, una “scaletta” in qualche modo da rispettare.