Col nome di Plastica si intendono macromolecole polimeriche sintetiche di varia composizione; fra le più comunemente usate ci sono il Polipropilene (PP), il Polietilene (PE), le Poliammidi (PA), il Polivinilcloruro (PVC), il Polistirene (PS), il Polietilentereftalato (PET) . Molecole di questo tipo furono sintetizzate da derivati degli idrocarburi già nel XIX secolo, ma la loro produzione industriale iniziò nella prima metà del XX secolo. Agli inizi del nostro secolo la produzione si è incrementata moltissimo. Metà della plastica prodotta dal 1950 è stata prodotta negli ultimi 13 anni. Finora ne è stata prodotta 8,3 miliardi di tonnellate di cui 2 miliardi costituiscono oggetti ancora in uso, mentre 6,3 miliardi sono fuori uso. Di questi ultimi il 9% è stato riciclato, il 12 % incenerito e il 79% disperso nell’ambiente (Geyer R. et al., Science Advances Vol 3, No. 7, 2017).
Il dato più recente (2016) della produzione mondiale di materie plastiche è di 335 milioni di tonnellate (valore più che triplicato rispetto a quello del 1990). Si registra ogni anno un aumento del 5%. La produzione, mentre in Europa si è stabilizzata intorno ai 60 milioni di tonnellate annue, in altri paesi è in ulteriore rapido aumento; la produzione cinese è oggi circa il 30% del totale (dati della Association of Plastics Manufactures).
L’aumento della produzione di materie plastiche è favorito attualmente dal basso costo degli idrocarburi e dall’aumento dei prezzi della plastica. Essendo il tempo di decomposizione fisica degli oggetti di plastica variabile da 100 a 1000 anni a seconda del tipo di plastica, e disperdendosi nell’ambiente ogni anno circa 240 milioni di tonnellate di plastica, si capisce quanto seria sia la situazione futura se non si prendono i necessari provvedimenti.
Quali le soluzioni?
1. NON PRODURRE PIÙ PLASTICA
Può sembrare utopico, ma decisioni drastiche sono state già prese in altre occasioni ed hanno dimostrato la loro efficacia. Nel 1990 con il protocollo di Montreal (il primo accordo nella storia delle Nazioni Unite a essere ratificato da 192 Paesi) furono banditi i Clorofluorocarburi, utilizzati come gas refrigeranti (Freon) dopo che un articolo comparso su Nature nel 1985, aveva indicato questi composti come responsabili di un buco nella fascia dell’ozono che protegge la terra dai raggi ultravioletti. Nel 2001 è stata ratificata dalla convenzione di Stoccolma che proibisce l’uso in agricoltura del l’uso del Dicloro difenil tricloroetano (DDT).
Non produrre plastica significa prima di tutto non averne bisogno, cioè ridurre gli imballaggi, che costituiscono la metà della plastica prodotta.
Invece di produrre nuova plastica, è possibile riciclare quella che c’è. Il riciclaggio può essere meccanico o chimico ed è possibile effettuarlo su rifiuti selezionati e suddivisi per tipologia del polimero. Col riciclaggio meccanico si producono piccole scaglie dalle quali si ottengono nuovi prodotti; con quello chimico, meno utilizzato, si depolimerizza il materiale per riottenere i monomeri di partenza, come nel caso del PET. Nel gennaio di quest’anno è stata varata dalla Commissione Europea una strategia sulla plastica che prevede nel 2030 il completo riciclo degli imballaggi in plastica.
Non produrre più plastica è realistico perché esistono prodotti sostitutivi biodegradabili come le cosiddette Bioplastiche. Secondo la definizione della European Bioplastics, la Bioplastica è un tipo di plastica che deriva da materie prime rinnovabili e che è biodegradabile. Possono essere ottenute da grano, mais, patate o tapioca. Sono anche biodegradabili plastiche ottenute con la polimerizzazione dell’acido lattico e dell’acido idrossibutirrico. Il tempo di decomposizione di queste sostanze è solo di alcuni mesi in compostaggio e gli scarti possono essere usati come concime ed in paccimatura, tecnica agraria che consiste nel coprire il terreno con un film biodegradabile per mantenere l’umidità, evitare l’erosione e la crescita di erbe indesiderate.
2. RIMOZIONE DELLA PLASTICA DALL’AMBIENTE
Pulire il mondo è un problema risolvibile, prima di tutto evitando di sporcarlo; la raccolta differenziata non comporta particolari tecnologie, ma esclusivamente la volontà politica di destinare le risorse finanziarie adeguate, e la disponibilità alla cooperazione da parte dei consumatori. Pulire la terra è certamente più facile che pulire il mare. Esistono, però, dei sistemi di strascico cattura-plastica che ne facilitano la raccolta. Recentemente è stato varato il progetto Ocean Cleanup che usa imbarcazioni capaci di prelevare dal mare tonnellate di plastica galleggiante raccogliendola con barriere superficiali chilometriche e portandole a bordo con un sistema di aspiratori funzionanti ad energia solare. Una volta a bordo la plastica viene compattata e stoccata automaticamente.
3. DEGRADAZIONE BIOLOGICA
Da alcuni anni si sono aggiunte nuove tecnologie per degradare alcuni tipi di plastica. Il PET, usato per imballaggi e bottiglie di plastica può essere digerito da due enzimi del batterio Ideonella sakaiensis del ceppo 201-F6. Ricercatori giapponesi hanno pubblicato, nel 2016, sulla rivista Science un loro esperimento di digestione di un film sottile di PET a 30 °C in acqua in sei settimane. Due enzimi concorrono alla degradazione della plastica in due step successivi.
Un altro gruppo di scienziati, spagnoli, italiani ed inglesi hanno dimostrato che il PE è degradabile dalle larve della farfalla Galleria mellonella. Questa specie si nutre di cera di api e ha la capacità di rompere legami chimici simili a quelli esistenti nel PE. La scoperta è avvenuta casualmente perché i ricercatori hanno constatato che le bustine di PE, usate per trasportare le larve, erano bucherellate. Non è chiaro al momento se le capacità digestive sono relative all’insetto stesso o ai batteri contenuti nel suo stomaco.
4. LEGISLAZIONI ADEGUATE
Prima di tutto ad un problema globale occorre rispondere globalmente. Sono necessarie trattative internazionali: il problema principale è come sempre chi paga. Il carico economico deve ricadere essenzialmente sui paesi maggiormente responsabili della produzione e dell’inquinamento. A livelli dei singoli stati si devono stabilire legislazioni omogenee sulla produzione e smaltimento delle plastiche: si potrebbe imporre ad esempio alle industrie produttrici di plastica, il riciclo di quantitativi di plastica pari a quelli prodotti. Occorrerebbero legislazioni nazionali che favoriscano la raccolta differenziata dei rifiuti e sostengano economicamente i comuni in difficoltà finanziarie. Si potrebbe costituire un sistema di squadre di cittadini volenterosi per sorvegliare in modo capillare i territori e segnalare disfunzioni e crimini ambientali.
A questo punto è da concludere che, per non essere sommersi dalla plastica, bisogna agire velocemente. Le soluzioni ci sono e nuove tecnologie potranno aggiungersi in futuro. Queste soluzioni possono intaccare i profitti, possono ledere interessi delle lobby del petrolio, possono costare in termini di bilanci pubblici, ma la priorità deve essere quella di mantenere pulita la nostra casa, cioè il pianeta Terra.