A distanza di oltre cento anni dalla sua origine il “ready made” continua a creare scalpore per la sua controversa espressione in bilico fra l’arte e la non-arte. Il termine, coniato per la prima volta nel 1913 dall’artista francese Marcel Duchamp nel corso dei suoi esperimenti dadaisti, si riferisce allo scegliere un oggetto di uso quotidiano e decontestualizzarlo. L’oggetto, al di fuori del suo contesto originale, assume un significato diverso. E solo per questo assurge ad opera d’arte.
In questo modo l’artista non è un creatore, ma si limita ad attribuire un significato nuovo a un oggetto già esistente. Il 10 aprile scorso è stata inaugurata dall’artista, collezionista e studioso di avanguardie Pablo Echaurren la giornata mondiale del Ready made al museo MACRO Asilo di Roma. Non un giorno a caso. Lo stesso giorno del 1917 fu inaugurata a New York la mostra della Society of Independent Artists. Quel giorno, dato che per statuto la mostra non avrebbe potuto rifiutare nessuna opera, dimenticò il ready made di Marcel Duchamp dietro un tramezzo perché ritenuto indecente e volgare. Si trattava del famoso orinatoio capovolto ribattezzato come “Fountain”. “L’arte è solo uno strumento, è solo il mezzo e non il fine. Questo è quello che Duchamp ci ha insegnato. Lui prese un orinatoio e lo capovolse. Lo firmò con la scritta “fountain”, fontana. Sono d’accordo con chi dice che tutta l’arte è una truffa”, afferma l’artista Mauro Cuppone, uno dei tanti che ha esposto una suo ready made al Macro Asilo. La sua opera è un chiaro riferimento a Duchamp. “ho voluto fare un tributo all’artista fondatore del ready made prendendo una bara, capovolgendola, e firmandola come fece lui. La ho denominata “Obelisk”, ed esprime il fatto che l’arte è come un bambino nato morto”. Un grande container in cartone di sigarette Marlboro rivestito in plastica, a sua volta pieno di stecche di sigarette vuote, è il ready made dell’artista Gianni Pigentile. “Ho conservato per anni tutti i pacchetti di sigarette che fumavo. Prima di smettere, avevo questo brutto vizio e fumavo moltissimo”, afferma. Quando gli si chiede quale sia il significato artistico della sua opera si indica il petto. “Nessuno, l’arte è qui dentro”, dice l’artista. “Quello che ho esposto è solo l’involucro dell’opera, ormai vuoto”. “Guerra informatica” invece, è il singolare ready made di Carmine Roma. Composto da una lastra di display luminosi a forma rettangolare, uno stetoscopio e un apri-tenda. “Ho l’abitudine di ravanare nei bidoni dell’immondizia oggetti di ogni genere e natura. Ne ho la camera così piena che non riesco a muovermi.” Il suo ready made rappresenta “una realtà sospesa su un traliccio elettronico, voglio trasmettere un’idea sensoriale per emanare il sapore della matrice di dati del cyberspazio”.
E’ stato composto esclusivamente grazie ad oggetti trovati in un bidone della spazzatura. “Precisamente, in via Prenestina a Roma”, puntualizza l’artista.