All’incontro con lo scrittore Umberto Ursetta all’Itas Chimirri di Catanzaro si è discusso di donne di ‘ndrangheta, protagoniste del suo libro “Vittime e ribelli”.
Lo scrittore è stato presentato dalla prof.ressa Maria Manuela Morelli, referente del Progetto Gutenberg dell’Istituto Chimirri, che ha posto subito l’accento sul ruolo della donna che vive e nasce in un contesto mafioso, e di come lo ‘ndranghetista la consideri, privata della sua personalità e soggettività, un oggetto di proprietà ed un mezzo asservito all’organizzazione criminale.
La donna, sostiene la Morelli, che trasgredisce alle regole e disonora, e l’onore deve essere purificato con il sangue. Il compito di uccidere la donna spetta ai famigliari, perché il disonore ricade sulla famiglia. Nella cultura mafiosa ciò che conta è il non rompere la famiglia. Non sono ammessi separazioni o divorzi, ma questo attaccamento alla unità familiare è solo apparente; la donna è colei che trasmette i valori di appartenenza ai figli ed una donna che trasgredisce alle regole mafiose indebolisce il potere delle cosche.
Nel libro lo scrittore vengono cita tanti casi di donne che saranno vittime di questa cultura di sangue, ma altrettanti casi di donne che diventeranno esempio di denuncia, di rottura contro questa cultura, che troveranno la forza di collaborare con la giustizia nell’amore verso i figli che vogliono sottrarre ad un futuro di criminalità. L’autore nel suo intervento chiarisce come attraverso il libro “Vittime e ribelli” si descriva la storia della ndrangheta al femminile, sostenendo che non si può capire la particolare natura mafiosa, se non si comprende il ruolo delle donne. Ursetta, una vita a insegnare diritto, ricostruisce in modo scrupoloso fatti, circostanze, indagini e processi. Quello che ha scritto è un libro di cui si sentiva il bisogno e che merita di essere letto.
Lea Garofalo, Giuseppina Pesce, Maria Concetta Cacciola, Simona Napoli sono nomi che grazie alla lettura di questo libro non possiamo dimenticare. Il loro esempio deve ricordare allo Stato che “le donne coraggio” hanno bisogno di una risposta. Non era mai accaduto, scrive l’autore a chiusura del suo volume, che “una donna vissuta in un ambiente di ’ndrangheta osasse rompere il silenzio e rivendicare il proprio diritto a parlare e a raccontare i crimini commessi dai componenti della sua famiglia. Quando si vede che in un’aula di tribunale ci sono tre donne ad accusare i famigliari di una delle cosche più potenti e pericolose della Calabria vuol dire che qualcosa di importante è accaduto, non tanto per ciò che queste donne raccontano in merito ai delitti compiuti dai loro uomini, ma perché rompono un tabù secolare, quello delle donne di ’ndrangheta chiuse in un silenzio tombale e rassegnate fin dalla nascita a subire qualunque imposizione.
La rottura del silenzio da parte delle donne fa paura agli uomini d’onore, ma ancor di più gli fa paura il rischio di un possibile contagio”. Hanno partecipato all’incontro gli alunni delle classi 2°, 3L, 4E e 4M dell’Istituto “Chimirri”, che hanno rivolto domande e spunti di riflessione all’autore. In particolare, Martina, attraverso la scrittura facilitata, si è soffermata sull’immagine della scarpa con il tacco spezzato per sottolineare un semplice aspetto: violenza contro le donne e femminilità che vuole affermarsi nonostante tutto.