La nazionale italiana ai mondiali non ci sarà per la seconda volta in otto anni e sembra che tutto si possa e si debba risolvere con le dimissioni del tecnico Mancini. Un tecnico, uno staff e una squadra che solo sei mesi fa erano osannati per aver vinto gli Europei.
In realtà, lo abbiamo scritto allora e lo ribadiamo a maggior ragione oggi, questa nazionale non è mai stata una squadra. Aver imbroccato tre partite di fila sull’onda dell’entusiasmo sfruttando errori macroscopici degli altri (leggi Inghilterra) ha regalato un momento di gloria ad una compagine che non ha mai mostrato un gioco convincente.
Troppe individualità, troppe prime donne e troppi “coccolati” che, non a caso, da giugno in poi non ne hanno imbroccata una che sia una! Capaci di andare ai play off da un girone con Svizzera, Bulgaria e Irlanda del Nord che, con tutto il rispetto, non sono fra le nazionali più forti e temibili.
Galeotta fu la Macedonia (del nord non di frutta)
Si arriva alla partita con la modestissima Macedonia del Nord entrando in campo con la solita puzza sotto il naso e senso di malintesa superiorità. Si mette in campo il nulla condito di niente e si fa una partita senza nerbo e convinti che alla fine il tiro in porta, magari con un rimpallo o autogol, ci finisca comunque.
Questa è una nazionale che solo per il fatto di andare a giocarsela in quella maniera deve non tanto vergognarsi ma ridimensionarsi mentalmente e fisicamente in questi calciatori e tecnici super pagati ma solo perché pedine di un sistema fasullo, gonfiato, ‘dopato’ finanziariamente e non solo.
Il sistema calcio italiano ha fallito ed è fallito
Il Presidente della Federcalcio subito dopo la partita persa si è affrettato a ribadire la sua stima al tecnico sperando che resti, ovviamente, dimenticando che questo fallimento è tutto suo, porta la sua firma in calce.
Un sistema, quello italiano, che ha al suo interno tutte le caratteristiche per implodere. Una sola squadra al comando che vince – e non certo sempre per meriti sportivi – per nove anni stracciando ogni traccia di legalità.
Un campionato palesemente telecomandato dove una squadra (esempio a caso) riesce a fare 91 punti e si fa in modo che l’altro (sempre la stessa) ne faccia 93 per meriti arbitrali. Confermato dal mea culpa con lacrime da coccodrillo tre anni dopo.
Un movimento dove un ragazzo a 21 anni è ancora una bella promessa perché nelle squadre comandano senatori di 42 anni che non si fanno da parte nemmeno a colpi di bazooka. In Inghilterra a 21 anni si vincono Champions giocando da titolari inamovibili e non solo se si è dei fenomeni.
La guardia di finanza in casa
Squadre titolatissime che si ritrovano un giorno si e l’altro pure la Guardia di Finanza in casa a fare “approfondimenti” su ogni tipo di ‘magheggio’ artatamente economico e finanziario pur di rimanere a galla. Altre che dovrebbero essere retrocesse di diritto e i libri portati in tribunale per l’esecuzione fallimentare. Squadre e società che si rigirano con piroette fantasmagoriche fra improbabili cessioni e trust creati ad hoc.
Il risultato sportivo fallimentare è solo la fotografia del sistema calcio fallimentare italiano. Ora ci vorranno anni ed anni di duro lavoro di ricostruzione a patto che si elimini tutto il marcio, e non è affatto semplice e scontato che si cominci ad obbligare le società ad avere vivai che si possano definire tali. Valorizzare gli investimenti veri e non quelli per fare farlocche plusvalenze.
Se questo non avverrà e il nostro sistema non verrà distrutto e rigenerato dalle fondamenta ci aspetteranno tanti ma tanti altri fallimenti conditi da retoriche patriottiche e lacrimoni insulsi ed inconcludenti.