Torino sessanta anni fa. Grazie al malioso richiamo della Fiat, la città viene invasa da un’ondata migratoria senza precedenti. Arriva gente dal Sud ma anche dal Veneto e da altre regioni. Nel 1961 la capitale subalpina raggiunge il milione di abitanti e diventa la terza città meridionale d’Italia, dopo Napoli e Palermo. Di fronte a centinaia di migliaia di immigrati, Torino è colta impreparata. Lo strapotere della Fiat determina conflitti sociali enormi.
Il mix di mentalità e cultura sconvolge la compassata capitale dei Savoia. Chi approda sotto la Mole (è convinzione comune) non può che andare a fabbricare automobili. Invece non è per nulla vero. Oltre all’ingombrante presenza del gigante dell’auto, la città è un fiorire continuo e spontaneo di piccole e medie imprese nel settore della meccanica di precisione e dell’elettronica più avanzata. Una di queste aziende hi-tech è la Dea (Digital Electronic Automation).
Nata in un garage nel 1962, la società inventa il primo robot di misura al mondo, una macchina rivoluzionaria in grado di verificare, tutta da sola e con precisione micrometrica, la carrozzeria di un’automobile o l’ala di un jet. Il successo è immediato e globale. Un libro uscito da poco – “La dea dei robot”, autore Tito Gaudio, editore Cartman Edizioni (www.cartmanedizioni.it), 256 pagine, racconta la nascita e i primi passi dell’azienda piemontese che ha dato vita alla meccatronica, la tecnologia nata dal matrimonio tra la meccanica e l’elettronica. Un mondo affascinante e complesso che l’autore scopre e vive in prima persona.
Il volume, infatti, è un reportage, appassionato e minuzioso, della prima di giornata di lavoro di un giovane apprendista del Sud in una fabbrica del Nord, in un clima lontano mille miglia dalla catena di montaggio e dalle lotte operaie, in un ambiente dove entusiasmo e passione la fanno da padrone. Un volto inedito e sconosciuto della Torino di allora.