Una Napoli, quella raccontata nel suo ultimo film, viva e suggestiva. Napoli si presenta non come una bella cornice dentro la quale prende corpo il racconto di una storia d’amore e di passione, ma diventa la vera protagonista simbolica in cui le vicende trovano ritmo e armonia. Ogni sequenza cinematografica lascia un segno significativo, volutamente simbolico e senza pregiudizi.
Una Napoli, quella rappresentata egregiamente da Ozpetek, nascosta dietro tanti veli, contraddizioni che la rendono vera, autentica paradossalmente agli occhi di chi la guarda senza giudicare dalle apparenze. La si ammira con il rispetto che le è dovuto, scovando la bellezza originaria tra arte e mistero, schizofrenie e rifiuto della modernità.
Il lavoro di Ozpetek è una vera è propria rivoluzione che guarda Partenope alle radici, ne scova la storia, le origini, i significati nascosti e le tradizioni in un excursus culturale mozzafiato nell’assunzione di stile narrativo/ cinematografico unico e originale.
La storia recupera i temi e lo stile personalissimo e inimitabile del regista: il gioco dei doppi (riprendendo Eduardo in Quei fantasmi) il tema della schizofrenia, il trauma infantile, drammi esistenziali raccontati in una Napoli barocca, enigmatica, affascinante, sinuosa che per lo spettatore-osservatore diventa una piacevole “esperienza estetica” ipnotica e viscerale: il chiostro del Museo di San Martino, la scalinata della farmacia degli Incurabili, la Cappella del Principe di San Severo (dove è esposto il Cristo velato), il centro storico di Piazza del Gesù e San Benedetto Croce, Palazzo Sanchez e quella scala ipnotica ed ellittica che richiama un’atmosfera hitchcockiana ne La donna che visse due volte. “Napoli velata” è pervaso di ambiguità, proprio come Napoli, dove convivono in una sintesi perfetta religione e scienza, paganesimo e cristianesimo, superstizione e razionalità.
Parlano il regista Ferzan Ozpetek e gli attori Giovanna Mezzogiorno ( già diretta dal regista ne “La Finestra di fronte”) Alessandro Borghi ( star di Suburra) Lina Sastri e Peppe Barra. Chiunque venga a Napoli per almeno dieci giorni se ne innamora, ci si innamora quando si vive la città, si conoscono i napoletani, si esce in strada, si va a teatro, si va a mangiare la pizza, è una città che ti sa prendere. È questa la Napoli viva che ho voluto raccontare nel film. Da cinque anni, dopo la Traviata al San Carlo, quando torno qui ho sempre la stessa stanza.
Nella mente di Adriana (Giovanna Mezzogiorno) c’è più solitudine: la solitudine di chi dorme da solo e ha bisogno di affetto, di chi non ha più i genitori e di un corpo diventato cadavere disteso su un tavolo operatorio e “motore” di una doppia indagine da compiere: dentro e fuori di sé. Un incontro e la scintilla con Andrea, Ozpetek introduce qui un rito pagano (“La figliata dei femminielli”), una performance antropologica che partorisce un bimbo priapesco e concepisce la passione di Adriana e Andrea. (Alessandro Borghi) attraente e giovane amante dell’arte. Una notte di passione intensa, vera che li porterà ad incontrarsi il giorno dopo. Ma l’incontro tra i due personaggi è destinato ad avere risvolti inaspettati. Adriana verrà infatti coinvolta in un delitto che la trascinerà al centro di un’indagine inquietante, un evento che la porterà a fare i conti con se stessa e il proprio passato.