La mozzarella di bufala, il latticino più amato dai campani e non, si ottiene dalla lavorazione del latte fresco e intero della bufala. Orgoglio tutto campano, proviene da epoche lontane, se ne legge in documenti e manoscritti risalenti addirittura al 1300.
Si narra, infatti, che i monaci del monastero di Capua offrivano ai pellegrini di passaggio un formaggio chiamato “mozza” o “provatura”. Si trattava di un prodotto fresco ricavato dal latte di bufala.
Il nome, probabilmente, riferiva alla tecnica di lavorazione, ossia la pratica di produzione che prevede la mozzatura della pasta filata con indice e pollice. Un’arte che accomuna tutti gli esperti caseari produttori di mozzarella.
La mozzarella e gli allevamenti di bufala
No bufala no mozzarella! E’ fatto certo che la mozzarella di bufala sia correlata strettamente agli allevamenti di bufala. Sull’argomento si esprimono le più disparate opinioni, ci sono i sostenitori dell’importazione della bufala e quelli della teoria autoctona. C’è chi sostiene che l’animale sia giunto in Italia ad opera dei Longobardi. Chi ad opera degli Arabi e chi, invece sostiene che la bufala abiti le terre italiane dall’epoca pre-romana.
Divergenze di pensiero e teorie a parte, le prime notizie certe di allevamenti di bufala in Italia risalgono al XII/XIII secolo. L’animale, anche se in libertà, trova il suo habitat naturale nei territori paludosi del sud Italia. In queste zone, diventa prezioso anche perché rappresenta l’unico animale da soma efficace per il territorio acquitrinoso e difficile da gestire.
Il medioevo
La produzione campana diede il la ad un vero e proprio business. Latticini e prodotti di bufala e in particolare la mozzarella, erano indirizzati ai mercati delle zone di produzione, parliamo di Capua, Aversa e del Salernitano.
Date le sue caratteristiche, la mozzarella doveva necessariamente essere consumata entro pochi giorni per cui non percorreva lunghe tratte e si collocava nei mercati limitrofi alle zone di produzione.
Ai mercati più distanti, invece, arrivavano i prodotti stagionati, parliamo di provola o anche prodotti caseari affumicati; tali prodotti si conservavano più a lungo mantenendo inalterati gusto e consistenza.
Molto strano crederci, eppure, la mozzarella per un buon periodo rappresentava un alimento di genere secondario proprio per le sue caratteristiche di conservazione. Solo dopo un po’ di tempo si apprezzò veramente il gusto dell’oro bianco che divenne un prodotto d’élite. Proprio in questo momento iniziarono a far capolino i primi caseifici. In primis la produzione di mozzarelle si concentrava per lo più negli stessi locali di mungitura mentre dal Medioevo in poi iniziarono a sorgere le prime bufalare.
Si tratta di costruzioni circolari in muratura con un corridoio centrale, qui, avveniva la lavorazione del latte di bufala sino a diventare il tanto amato latticino. E’ con l’avvento del Medioevo che si inizia a parlare di mozzarella, sino a quel momento si parlava per lo più di provatura. Si legge, infatti, della mozzarella di bufala in un libro di Bartolomeo Sappi cuoco della corte papale dell’epoca.
I Borboni, la tenuta di Carditiello e la vaccheria reale di Capodimonte
L’era borbonica rappresenta l’epoca di massimo splendore per il latticino nostrano. La seconda metà del ‘700, infatti, vede sorgere presso La Tenuta Reale di Carditiello un allevamento di bufale nonché il primo vero e proprio caseificio. Non solo, questo contesto diede il via alla regolamentazione relativa alla produzione della mozzarella. Si stabilì, infatti, che le mozzarelle dovevano rimanere nel loro liquido per circa un giorno a differenza delle provole che dovevano invece starci per due. I prodotti non destinati al mercato locale dovevano essere, invece, affumicati.
Insieme alla Reale Industria della Pagliata delle Bufale va menzionata la Vaccheria Reale di Capodimonte che produceva mozzarelle sia di bufala che di vacca. La mozzarella e la sua industria interessava per lo più il Basso Lazio, Caserta, Napoli, Salerno, Battipaglia e Paestum. Luoghi di principale lavorazione tutt’oggi conosciuti.
Sino ai giorni nostri
Il periodo di splendore della mozzarella vide però una riduzione dei capi bufalini. A inizio 1800 erano circa 8000 i capi censiti, divenuti poi 2000 a fine del secolo e dimezzatisi durante l’epoca fascista.
Grazie agli imprenditori italiani però, la bufala ha ottenuto il riconoscimento di unicità di razza. Il mercato ha così riacquistato il suo splendore e la mozzarella ha guadagnato il titolo di oro bianco nonché la Denominazione di Origine Protetta.
E voi come la mangiate? Semplice, con un po di pepe, in carrozza. Diteci la vostra, noi, intanto, vi consigliamo un filo d’olio extravergine di oliva, un po di basilico, qualche fetta di pomodoro, tanta mozzarella e via di caprese!