“La mostra di Dario Damato è un omaggio alla mia città, perché ritengo che i grandi maestri nati artisticamente in Capitanata debbano essere promossi anche da galleristi privati, con dedizione ed entusiasmo”. Sono le parole di Giuseppe Benvenuto, che cura la mostra antologica di Dario Damato, in mostra a Foggia dal 14 aprile, presso la “Contemporanea Galleria d’Arte” (viale Michelangelo, 65).
L’inaugurazione si terrà, nella stessa sede, con l’intervento di Donatella Damato, responsabile dell’Archivio Damato e figlia del pittore, dell’assessore regionale all’Agricoltura, Leonardo Di Gioia, e del presidente del Consiglio comunale di Foggia, Luigi Miranda.
“L’esposizione consta di venti pezzi, la gran parte dei quali dipinta in tecnica mista su tela – dichiara Donatella Damato – . Fanno eccezione tre piccoli quadretti su legno, sempre in tecnica mista. Le opere coprono un lasso temporale che va dalla fine degli anni ’80 al 2013, anno della scomparsa di papà. Si è scelto di esporre pezzi afferenti diverse correnti pittoriche, rappresentate anche nello stesso anno di produzione. Per lo stesso anno dunque, quadri dall’ampio respiro figurativo sono giustapposti ad altri più spiccatamente concettuali”.
Dario Damato, ha allestito in Italia e all’estero oltre 200 mostre tra personali e collettive, riscuotendo consenso e il plauso della critica più accreditata. Ha esposto in importanti musei e pinacoteche in Italia e all’estero e ha ricevuto per la sua opera, premi nazionali di rilievo, come dal Senato Italiano (1973) e dal Presidente della Repubblica (1974). E’stato direttore dell’Accademia di Belle Arti di Foggia (dal 1980 al 1990). Tra il 1980 e il 1990 è stato Commissario governativo per le Accademie di Ravenna, Genova e Milano. Le sue opere sono tutt’oggi argomento di studio nelle accademie e università italiane. “Il percorso artistico di Damato – spiega Vitaldo Conte, storico dell’arte – si snoda in un movimento di “nomadismo culturale” che ha come possibilità espressive, talvolta commiste: il paesaggio pittorico; la pittura come parola di pulsioni e memorie ancestrali; la costruzione di bassorilievi scritturali che materializzano una lingua alchemica e occulta sulle superfici monocrome, frequentemente bianche e nere. Nelle sue geo-grafie di costruzione paesaggistica è frequentemente presente la civiltà dauna, profondamente conosciuta e amata. Da questa Damato ha “estratto” forme archetipe, segni, codici, ritualità. La discesa nell’archetipo e origine diviene così una scrittura culturale. Ciò accade anche nei suoi sconfinamenti nella pop scrittura e nella figurazione “altra” che dialoga con lo strumento digitale, rielaborando scarti e reperti immaginali di testi pubblicitari, di fotogrammi filmici, le scritture visive e comunicative della nostra civiltà elettronica e postatomica. Questi si estendono fino a divenire allusione writer, attraversando scritte e simboli d’amore sui muri, attestati di fede, l’uso simultaneo di linguaggi diversi. Con visionarietà mixa antiche pittografie rupestri e il linguaggio acido del graffittismo per assurgere a una scrittura parietale di enigmi esoterici. Nella sua esuberante espressione “vive”, in un viaggio primordiale e attuale, il piacere dell’immagine dipinta, la ricerca della contaminazione espressiva, l’intellettualità concettuale”.
“Se è vero che la pittura non può essere solo estrinsecazione oggettuale – come affermava Damato stesso –, è vero che nelle possibilità formali di una pittura-scrittura, non può essere cercato esclusivamente in essa il rapporto interagente tra visualizzazione e fonicità, più o meno espressa. Questo problema mi ha intrigato sempre di più, e con maggiore ampiezza negli anni dal ’65 all’85 che sono caratterizzati come gli anni-forza della mia ricerca scritturale. Sulla superficie della tela sono intervenuto con una serie di materiali sempre più plastici, e meno pittorici, tanto è vero che nel tempo il quadro risultava una sorta di spazio basso-rilievo scritturale che poteva anche avere una propria anima tattile per essere ugualmente esperito in un altro senso. Pertanto ho cominciato a ideare simboli fonico-musicali, sorta di note puramente concettuali che oltre a interessare i sensi del tatto e della vista coinvolgessero più profondamente il solletichio della percezione uditiva. È nato così un composto, tono su tono (bianco su bianco, nero su nero), fruibile in diverse direzioni che potevano essere innestate e scandite secondo parametri di una lettura sinestetica. È nata così la mia scrittura fatta di rimandi, di ritorni, di antiche memorie, un groviglio pulsante di simboli, segni, note”.