Aveva contratto il Covid lo scorso dicembre poi le sue condizioni si sono aggravate velocemente e il 16 gennaio si è spento presso l’ospedale di Buenos Aires. La notizia della morte di Juan Carlos Copes, data dalla figlia Johanna sui social, ha fatto il giro del mondo. Un po’ come la sua arte che gli ha meritato il titolo di re del tango. Il maestro di Robert Duvall e Liza Minnelli se n’è andato a 89 anni.
Juan Carlos Copes: il cordoglio per la sua morte
Copes aveva iniziato a ballare a soli 17 anni con la sua partner Maria Nieves che di anni ne aveva 14. Il tango li travolse facendoli innamorare, sposare e separare dopo 9 anni. Continuarono a ballare insieme anche quando lui si risposò. Insieme erano i Ginger Rogers e Fred Aister del tango e insieme hanno dato al tango argentino un’importanza mondiale, dopo la triste parentesi della dittatura. Copes è stato il primo a fare del tango uno spettacolo coreografico, ha partecipato a diversi film, ha ballato presso le Università di Stanford e di Chicago e alla Sorbona. Lo ricordiamo nei panni di Carlos Nebbia che, tra una lezione e l’altra, assiste alla nascita della passione tra Mario ed Elena in “Tango”. La pellicola di Saura fu presentata al 51° Festival del Cinema di Cannes e candidato all’Oscar nel 1999. La sua carriera di ballerino di tango argentino, trascorsa negli ultimi vent’anni con la figlia Johanna, nata dal secondo matrimonio, era terminata nel 2015 per motivi di salute.
Dai sobborghi di Buenos Aires ai salotti europei
Sì, il tango argentino, quello nato lungo le sponde del Rio della Plata, tra le città di Buenos Aires e Montevideo, alla fine dell’Ottocento. Nei sobborghi dove risiedevano immigrati italiani, spagnoli, tedeschi giunti in America Latina in cerca di fortuna e che vivevano nei conventillos insieme a schiavi neri liberati, immigrati cubani e i gauchos della pampa. La sera, quando più forte si faceva sentire la nostalgia, si ritrovavano nei cortili e ognuno di loro intonava una propria canzone, accennava un passo di ballo, e così dalla payada della pampa, la haba nera cubana e la candombe di origine africana nasce la milonga e poi il tango. In principio era una danza dalle movenze sensuali accompagnata da pochi strumenti come una chitarra o una fisarmonica, ma bastò poco perché il tango entrasse nelle case borghesi e fosse accompagnato da orchestre complete e da testi propri. Diventò subito una moda e gli immigrati tornati nei loro Paesi di origine contagiarono l’intera Europa. L’aspetto sensuale fece storcere il naso a qualcuno che pensò di rivisitarlo guardando alle danze classiche come il valzer. Al di là della sensualità c’è una caratteristica che è tipica del tango: niente regole.
Studiare il tango non è inutile, significa studiare le diverse vicissitudini dell’anima argentina
Jorge Louis Borges
Il tango: un pensiero triste che si balla
Si dice, infatti, che il tango sia l’arte dell’improvvisazione. Questo perché, a differenza di altre danze, non prevede sequenze di passi preordinate. Esistono dei passi ma la loro successione è stabilita al momento. L’unica regola che vige è che l’uomo conduce e la donna segue. Ecco che allora il tango non è semplicemente ballare quanto creare una sinergia con il proprio partner, una chimica, un’intesa. Un’intesa che si crea solo se tra i due tangueri il rapporto è paritario. Non a caso è spesso consigliato nella terapia di coppia. Pur nascendo da un pensiero triste, il tango è sogno ed emozione, un sogno e un’emozione che non moriranno mai.
In copertina foto di Gobierno de la Ciudad de Buenos Aires per Flickr