Menti artificiali in grado di svolgere attività altamente performanti, addirittura superiori a quelle delle menti umane. Scenari futuristici che si sono però rivelati per molti versi semplici parti di un viaggio della fantasia.
I fallimenti di certe sperimentazioni trovano le loro radici in una primitiva, e poco realistica, concezione della mente, eguagliata ad una macchina logica recante in sé un archivio di informazioni. Questa valutazione sembra escludere a priori la dinamicità della mente ma soprattutto un assunto fondamentale: la mente evolve, in un connubio di processi mentali, corpo e tutto ciò che ad esso afferisce. L’apprendimento dunque non può essere ridotto ad un semplice accumulo di informazioni e norme, grazie alle quali mettere in atto azioni, seppur mirabolanti, come quelle ipotizzate per i macchinari frutto dell’intelligenza artificiale.
L’interdipendenza mente-corpo e l’interazione corpo-mondo sono la chiave di tutto. In altre parole, la cognizione non può essere slegata dalla dimensione corporea, considerando che sono ineludibili e irriducibili tutte le manifestazioni cognitive strettamente legate all’emozione, all’affettività, all’intenzionalità, all’azione. Solo metabolizzando appieno questa consapevolezza, posso aprirsi orizzonti di ricerca ampi ed articolati, in grado di coinvolgere diversi campi disciplinari.
La psicologia ne è una dimostrazione. L’innovativo filone psicologico dell’intelligenza corporea o “cognizione incarnata” ci dà un esempio di come nel nostro pensiero sia possibile rinvenire un’ampia componente legata ai sensi. Un’accoglienza calorosa, uno sguardo gelido, delle parole dure, una scrittura fluida. Parole e attributi che identificano delle sensazioni che però non sono solo squisitamente mentali e che quindi non sollecitano unicamente le aree della comprensione linguistica. Noi, guardando quegli occhi, sentendo quelle parole, stringendo certe mani, leggendo un testo, e così via, riusciamo a provare sensazioni propriamente sensoriali, in alcuni casi addirittura termiche, per il coinvolgimento della corteccia somatosensoriale.
Sulla base di queste constatazioni, tra le tante ricerche, ne sono state messe a punto alcune su come l’esposizione al caldo o al freddo possano condizionare decisioni e preferenze. A far scuola in tal senso è stato un esperimento del 2008 condotto dagli psicologi Lawrence Williams e John Bargh. Coinvolti degli studenti, era stato chiesto loro di tenere in mano una tazza di caffè caldo o una di caffè ghiacciato, e quindi di esprimersi in merito alla personalità di un soggetto sul quale venivano fornite prima delle informazioni. Risultato? Le persone valutate ricevevano un feedback molto positivo (persona “affabile, disponibile”) se il valutatore aveva tenuto in mano la tazza col caffè caldo, a dispetto invece di un feedback più “freddo”, nel caso lo studente avesse maneggiato una tazza con caffè freddo. Un calore ed un freddo puramente sensoriali si traducevano dunque in un calore ed un freddo emozionali, trasferiti nelle successive interazioni con l’altro.
Dalla carne alla mente e dalla mente alla carne.