C’è la Storia, quella scritta, appunto, con la “S” e le storie, quelle che nessuno conosce ma che hanno ugualmente contribuito ad arrivare al nostro presente. Quella di oggi è una piccola storia, la storia di un impiegato delle poste, arruolato nell’esercito italiano durante la Seconda Guerra Mondiale e, dopo l’armistizio dell’8 settembre, imprigionato e deportato nei campi di concentramento. Parliamo di Ferruccio Guccini, padre del più famoso cantante Francesco, che ieri ha ricevuto la Medaglia d’onore per il suo no al Nazifascismo.
Ferruccio Guccini: perché la medaglia d’onore
Dopo l’armistizio dell’8 settembre, che sancì la resa dell’Italia alle forze alleate e lo svincolo dall’alleanza con la Germania, nel nostro Paese iniziò la guerra civile. Metà penisola era in mano alla Repubblica Sociale Italiana (RSI) al comando di Mussolini ancora fedele ai tedeschi, l’altra veniva gradualmente liberata dagli Angloamericani. I soldati italiani impegnati su fronti all’estero, presi alla sprovvista dal repentino cambiamento, furono massacrati e chi si rifiutava di entrare nelle forze armate della RSI veniva imprigionato nei campi di concentramento. Ferruccio Guccini, al momento dell’armistizio, era di stanza in Africa e si rifiutò di entrare nell’esercito fascista. Catturato a Corinto, fu deportato prima nel campo di concentramento di Leopoli, poi in quello di Amburgo. Fu liberato nella primavera del 1945 e fece ritorno a casa in agosto.
Van Loon
A presentare la domanda per la Medaglia d’onore è stata la nipote Teresa, figlia di Francesco. Il nonno non parlava mai di quanto era accaduto negli anni della prigionia e probabilmente, da persona discreta qual era, non avrebbe voluto un riconoscimento. Un ritratto ancora più intimo di Ferruccio Guccini lo aveva fatto il figlio nella canzone Van Loon, che è ricordo personale ma anche fotografia di una generazione. La generazione cresciuta nella miseria del primo dopoguerra, che non aveva i soldi per studiare ma la fame di conoscenza era più forte e allora ci si affidava alla Settimana enigmistica, ai libri di Van Loon per colmare le lacune di un mancato corso di studi. La generazione che, come se non bastasse, si era trovata catapultata in un’altra guerra, stavolta, però, col fucile in braccio. La generazione che di possibilità ne ha avute poche e che era andata avanti con dignità facendo da trampolino di lancio per i loro figli.
Piccoli grandi gesti
“Ho pensato che – ha detto Teresa Guccini – in tempi come questi dove il revisionismo sta prendendo sempre più piede, fosse importante un riconoscimento che può servire per raccontare ancora una volta alle nuove generazioni gli orribili eventi di quegli anni. Un modo per sottolineare ancora una volta l’importanza della memoria“. Un altro piccolo tassello, un’altra piccola storia che va a disegnare il quadro più grande: quello del Novecento. Un piccolo atto di memoria per dire ancora una volta che il coraggio non ha colore politico, fede religiosa, razza o ceto sociale. Il coraggio ci fa uomini e donne.
In copertina foto di Niccolò Caranti