“Il Teatro è Orientale”, sosteneva Artaud, e il teatro asiatico non si è mai discostato dall’idea del sacro, né è mai stato interessato a creare un’illusione di verità o ad adottare codici psicologici credibili in scena. I suoi attori si servono di una tecnica ben codificata e di maschere per trasmettere emozioni, è teatro puro come il Teatro Balinese, Cinese, il No e il Kabuki, con la loro vasta gamma di preziosissime maschere.
Nel Teatro N0, prima dello spettacolo, l’attore-sacerdote “venera” la maschera che indosserà per favorire la sua incarnazione col personaggio, e le maschere sono scolpite in modo tale da mutare espressione a seconda della posizione della testa dell’attore e dell’illuminazione che ricevono.
Raffinatissime variazioni di raffinatissimi, consapevoli attori “imbalsamati”, a nostro avviso, nello stesso ruolo per sempre, come lo furono, in parte, gli attori greci e quelli della Commedia dell’Arte Italiana che pur erano avvantaggiati dalla possibilità d’improvvisare.
Quantunque la derivazione del teatro dal rito sia l’ipotesi più ampiamente accettata, alcuni studiosi ritengono che le prime rappresentazioni teatrali possano discendere dalla consuetudine del racconto orale via via arricchito ed elaborato in forme più complesse. In ogni caso l’idea di sacro va perduta nel teatro occidentale e una visione più laica e razionalista del mondo si fa strada trasformando l’attore-sacerdote in attore-personaggio che si serve di costumi e maschere per caratterizzare, interpretare più personaggi e facilitarne il riconoscimento da parte del pubblico.
Le prime maschere teatrali afferiscono al teatro greco e risalgono al V secolo A.C. , venivano usate durante le rappresentazioni tragiche, comiche e satiresche nell’Atene del tempo e nel resto della Grecia.
Il teatro nel mondo classico era aperto all’intera comunità e la partecipazione emotiva dello spettatore era totale.
Attraverso i testi, i drammaturghi veicolavano insegnamenti religioso-culturali, metafore dei problemi profondi di Atene o rappresentazioni dei suoi costumi.
Aristotele parla di funzione catartica del teatro e della tragedia in particolare. Nel corso delle rappresentazioni lo spettatore assisteva alla messa in scena non solo di miti e battaglie della sua stirpe, ma anche degli impulsi umani più irrazionali e temuti, tabù quali incesto, patricidio o matricidio, suicidio, cannibalismo, ciò gli consentiva di oggettivarli e tenerli a bada e, inconsapevolmente, esorcizzarli in una sorta di purificazione collettiva.
E La maschera, oggetto d’uso tutt’altro che quotidiano, permetteva di distaccarsi dal reale contribuendo a creare un’atmosfera più alta, tipica della tragedia o più domestica per la commedia.
Durante questo secolo tutti gli attori, tranne il suonatore di flauto, portavano delle maschere laddove, in precedenza, si erano sperimentati vari tipi di trucco facciale, ma la maschera consentiva agli attori, esclusivamente uomini e in numero massimo di tre, di interpretare tutti i ruoli passando da un personaggio e da un sesso all’altro.
Le maschere insieme ai costumi ed alle alte calzature, i coturni, ingigantivano la figura dell’attore rendendolo visibile allo spettatore più lontano, mentre la bocca scolpita a “megafono” ne amplificava la voce. Così paludato l’attore era pressoché immobilizzato, né poteva affidarsi alla mimica facciale, gli restava la voce che affinava per le sue interpretazioni e i gesti stilizzati da far arrivare a tutti.
Se inizialmente le maschere non venivano dipinte, col tempo furono introdotti i colori che davano forza alle espressioni definendo i personaggi e le loro dimensioni aumentarono fino a coprire tutta la testa dell’attore riproducendo acconciature, barbe e monili.
Le principale tipologie delle maschere greche erano fissate in vecchi, giovani, schiavi e donne, ma nessuna maschera usata dagli attori è arrivata a noi, erano costruite con materiali deteriorabili quali lino, sughero o corteccia, sono quindi le figure degli attori delle pitture vascolari le uniche testimonianze storiche a nostra disposizione.
Ritroveremo più o meno gli stessi personaggi nelle maschere della Commedia dell’Arte Italiana.