La prima Marcia per la Pace nacque il 24 settembre 1961 da un’iniziativa di Aldo Capitini (filosofo, politico e poeta italiano antifascista) che volle indire una manifestazione nonviolenta a favore della pace e della fratellanza dei popoli. In quell’occasione fu usata, per la prima volta, la Bandiera della pace, simbolo dell’anti-guerra e attualmente custodita a Collevalenza, vicino Todi, da Lanfranco Mencaroni, amico, compagno di carcere e collaboratore dell’intelletuale perugino.
Il 19 ottobre 2014 ci sarà la XX Marcia per la Pace, “Perugia-Assisi” per la pace e la fraternità, per protestare contro l’avvento della “terza guerra mondiale”. Flavio Lotti, coordinatore del Tavolo della Pace, ha dichiarato: «Dobbiamo strappare il discorso sulla pace dalla palude dell’ipocrisia, della retorica e del buonismo. Il discorso sulla pace si va facendo ogni giorno terribilmente più serio e non possiamo dare alcun alibi a chi vuole continuare a nascondere la propria inazione o complicità dietro un muro di belle parole e di qualche gesto inconcludente». Per l’organizzatore della manifestazione «non basta dire “Pace, Pace,…” scrisse un giorno padre Ernesto Balducci. Vale per tutti. Anche per quelli che si dicono “pacifisti” ma è solo un modo come un altro per fare i propri interessi. La pace è una cosa seria e, se non vogliamo piangerne la scomparsa, dobbiamo prenderla sul serio. La Giornata della Pace, le marce, le manifestazioni, la Perugia Assisi sono importanti solo se diventano parte di un impegno continuo, maturo e concreto». L’obiettivo, come scritto nel documento ufficiale, è quello di «investire con grande determinazione sulla costruzione di un’Europa dei cittadini, federale e democratica, aperta, solidale e nonviolenta e di una Comunità del Mediterraneo che, raccogliendo la straordinaria domanda di libertà e di giustizia della primavera araba, trasformi finalmente ques’area di grande crisi e tensioni ijn un mare di pace e benessere per tutti».
Secondo il Global Peace Index 2014, predisposto dall’Institute for Economics and Peace (IEP), che ha preso in analisi 162 nazioni raccolte dall’Economist Intelligence Unit (EIU), solo 11 Paesi non sono coinvolti in una guerra. Giappone, Svizzera, Qatar, Mauritius, Uruguay, Cile, Botswana, Costa Rica, Vietnam, Panama e Brasile sono i Paesi che, hanno dalla loro parte, la «non partecipazione a qualsiasi controversia tra governi e territori, con il ricorso alle armi, che abbia fatto almeno 25 morti in un anno». Negli ultimi 7 anni, inoltre, c’è stato anche un incremento dei conflitti mondiali. Il paese più “pacifico” del mondo è l’Islanda mentre la Siria scalza l’Afghanistan dall’ultima posizione e diventa, automaticamente, il Paese più “pericoloso”. Il parametro di valutazione è quello della totale non partecipazione, ragion per cui è esclusa anche la Svizzera, stato attivo nella vendita delle armi. Gli USA si classificano alla 101esima posizione; l’Italia al 34esimo posto; la Costarica è il paese più “meritevole” perché ha recentemente rinunciato alle proprie forze armate. Nel 2014 la violenza, secondo le statistiche, è costata al mondo ben 9,46 trilioni di dollari: gli Stati Uniti hanno pagato 1,7 trilioni (il 10% del loro pil) mentre l’Italia ha speso circa 53 miliardi di dollari. Secondo la direttrice dello Iep, Camilla Schippa, il peggioramento della situazione dei conflitti nel mondo deriva in particolar modo dalla crisi dell’economia globale e dal momento delle primavere arabe. Il Global Peace Index, ideato dall’organizzazione no-profit dell’imprenditore australiano Steve Killelea, è un metodo che valuta la pace in un tot di paesi: questo ranking è, infatti, ritenuto uno dei più accreditati per quanto riguarda l’analisi dei costi delle guerre.
La Marcia Perugia-Assisi, come specificato da Lotti, sarà dedicata alla «promozione della “globalizzazione della fraternità”» per riconoscere la pace come diritto che deve essere riconosciuto, applicato e tutelato da tutte le istituzioni, a cominciare dall’Onu. Perché, come scritto nella Mozione del popolo per la pace da Capitini, «la pace è troppo importante perché possa essere lasciata nella mani dei soli governanti». A cento anni dalla Grande Guerra e a 46 dalla scomparsa di Aldo Capitini, secondo l’organizzatore, lo scopo è quello di inaugurare l’era della “Grande Pace” educando alla pace grazie ad una strategia comune. Secondo il documento della Marcia «se vogliamo uscire dalla crisi dobbiamo smettere di fare la guerra e passare dalla sicurezza militare alla sicurezza umana, dalla sicurezza nazionale alla sicurezza comune». Ne La tecnica della nonviolenza di Aldo Capitini, il “Gandhi Italiano” esprime perfettamente il sentimento che porta il movimento pacifista a marciare da più di 50 anni per garantire la pace nel mondo: “Nella grossa questione del rapporto tra il mezzo e il fine, la nonviolenza porta il suo contributo in quanto indica che il fine dell’amore non può realizzarsi che attraverso l’amore, il fine dell’onestà con mezzi onesti, il fine della pace non attraverso la vecchia legge di effetto tanto instabile:”’Se vuoi la pace, prepara la guerra”, ma attraverso un’altra legge: “Durante la pace, prepara la pace”». Contro i conflitti armati, per il padre del pacifismo italiano, è necessaria l’ «obiezione di coscienza contro il servizio dell’uccisione militare e l’educazione dei popoli alla resistenza nonviolenta». Parole del 1964, attualissime ancora oggi.
Aldo Capitini è, senza alcun dubbio, uno dei più grandi intellettuali italiani. Nato il 23 dicembre 1899, gira per le campagne umbre come Francesco d’Assisi. Durante gli studi si rende conto che l’amore per la Patria «deve essere messo in rapporto e mediato con ideali più alti e universali» e inizia ad interessarsi alla non violenza, manifestando un forte dissenso per l’inutilità della guerra. Verso gli anni trenta scopre Gandhi, e ispirandosi a lui, segue la via della resistenza nonviolenta ai conflitti armati. Il 24 settembre del 1961 è storia.
Io non dico: fra poco o molto tempo avremo una società che sarà perfettamente nonviolenta, regno dell’amore che noi potremo vedere con i nostri occhi. Io so che gli ostacoli saranno sempre tanti, e risorgeranno forse sempre, anche se non è assurdo sperare un certo miglioramento. A me importa fondamentalmente l’impiego di questa mia modestissima vita, di queste ore e di questi pochi giorni; e mettere sulla bilancia intima della storia il peso della mia persuasione, del mio atto, che, anche se non è visto da nessuno, ha il suo peso alla presenza e per la presenza di Dio.
(A. Capitini, Aggiunta religiosa all’opposizione, 1958)