Il Teatro Elicantropo di Napoli ospiterà il debutto di La mar, un monologo scritto da Olimpia De Girolamo, interpretato da Marzio Paioni e diretto da Claudio Orlandini, con le musiche a cura di Gipo Gurrado, la scenografia di Dino Serra e le luci di Alessandro Bigatti.
Presentato da Agorà Teatro di Lugano La mar racconta di Venerio, personaggio vecchio e solo su un’isola sperduta su cui si erge un faro. Potrebbe essere il guardiano della luce che orienta le navi, ma nell’oggetto della narrazione diventa molto di più.
È il testimone di una resa esistenziale, il rifugio di una bandiera bianca, una “stanza trasparente” che illumina a intermittenza i ricordi ripercorsi nell’ultimo giorno di vita per poi finire avvolti dall’oscurità.
È, dunque, la sua storia, del rapporto frettoloso con le donne, spesso prostitute, o di quello, decisamente più tormentato, con il padre violento: un segreto che va raccontato per potersene liberare. La lingua di Venerio è contaminata, ora è napoletano, soprattutto italiano ma anche qualche slancio in francese, tedesco e qualche venatura nostrana.
Da fuori premono la modernità, la gioventù, la tecnica, e da dentro i ricordi, il passato, le paure e, infine, le speranze.
Rinchiuso in uno spazio attraversato dalla luce ci racconta in un viaggio, apparentemente immobile, la visione di un’anima umana, le paure, le solitudini, la sfida alle dicerie della gente e ai fantasmi del passato. Racconta soprattutto un mare vissuto al femminile, dignitoso, nobile, infinito: la mar.
La mar è il mare che accoglie e che offre, è spazio di viaggio e di ritorno che richiede coraggio e forza d’animo per essere conosciuto e rispettato.
“Ciò che mi ha suggestionato sin dalla prima lettura del testo – scrive il regista in una nota – è stata l’atmosfera di intima ricerca del personaggio, il suo bisogno di incontrarsi, di denudarsi, di mettersi di fronte al mondo per comunicare ciò che stava accadendo dentro di sé”. Questa atmosfera è stata tradotta direttamente sul corpo dell’attore, spogliandolo, mettendolo in trasparenza di fronte al pubblico perché raccontasse tutto il movimento interiore di un uomo che ha curato per tutta la vita la luce del faro.
La stanza trasparente con la luce si trasforma in metafora dell’esistenza. Con le sue intermittenze luminose illumina e poi oscura le vicende della vita dell’uomo che, proprio in questo denudarsi nella trasparenza, impara a conoscere l’amore, a rimettersi al mondo per affrontare con nuova speranza il suo futuro. Il ritmo del faro si fonde con la musica e diviene racconto di vita, fatto di luci e di ombre, come la storia di ciascuno di noi.