La madre di Eva di Silvia Ferreri, edizioni Neo, nella rosa dei dodici finalisti del Premio Strega di quest’anno, merita un’attenzione particolare per il tema trattato e per la scrittura cruda, emozionante, forte con cui la storia viene raccontata. Oltretutto è il primo romanzo della sua autrice che già da questa prima prova mostra una straordinaria abilità di narrazione che tiene avvinto costantemente alla pagina il lettore.
Silvia Ferreri è una giovane giornalista, nata a Milano, vive a Roma, sposata e con tre figli, autrice per Rai Tre eTV2000, collaboratrice del Corriere della Sera, lavora attualmente per Rai News 24. Nel 2006 ha presentato un film documentario Uno virgola due – Viaggio nel paese delle culle vuotee nel 2007 vi aggiunge il libro inchiesta sulla bassa natalità in Italia e le problematiche della discriminazione delle donne madri nel mondo del lavoro. Si occupa di questioni femminili nel suo blog su dazebaonews.it
La casa editrice che l’ha pubblicata, la edizioni Neo, attenta alla scoperta e alla diffusione dei nuovi talenti, ha creduto e a ragione in questo romanzo d’esordio.
La Ferreri sceglie per raccontare la storia drammatica di Eva, una ragazza che fin dalla prima adolescenza vuole cambiare sesso sentendosi estranea nel suo corpo di donna, non lo sguardo di Eva ma quello di sua madre. È lei infatti che in prima persona racconta la storia in un lungo monologo che la aiuta a trascorrere le ore in cui in un ospedale di Belgrado aspetta che operino sua figlia. Aver spostato l’ottica del racconto dalla figlia, come sarebbe stato prevedibile, alla madre permette all’autrice di accedere ad un dolore-impotenza che è il vero protagonista del romanzo. Nonostante ci siano mostrati con dovizia di particolari le sofferenze di Eva negli svariati tentativi di uscire dalla gabbia genetica in cui la sorte l’ha rinchiusa e che le risulta totalmente estranea, è il dolore della madre quello che connota la storia e ci colpisce come un pugno allo stomaco, una madre che si racconta come donna, nei suoi sogni, nelle sue speranze, nelle sue sconfitte e debolezze e si racconta come madre che con coscienza forte ribelle disperata si fa spettatrice e testimone del “massacro” che si consuma a pochi metri da lei, in quella sala operatoria dove l’ostinazione cieca di Eva l’ha portata a cancellarsi definitivamente come donna.
In questa cancellazione si misura nella madre la sua sofferenza di donna e di persona, la coscienza di un amore incondizionale e comunque votato alla rinuncia di sè, alla sofferenza dell’impotenza e dello smarrimento di fronte alla forte volontà di sua figlia di essere altra da quella che lei ha partorito. In quelle ore di attesa si dipanano tutti i ricordi, dalla propria giovinezza a quella di sua figlia, il matrimonio, la maternità, la famiglia, il lavoro, sono tanti gli strumenti che questa donna coraggiosa, in attesa che l’odissea di sua figlia si compia, ha per affrontare quello che sta accadendo. Eppure sapere, come sa, nei minimi dettagli come, dove e quanto il corpo di lei sarà straziato, averla accompagnata in un percorso che le fa orrore, non le basta; ma non perché le interessino i giudizi degli altri sulla loro storia, ma perché lei sola col suo amore assoluto è capace di guardare dentro l’abisso di dolore in cui la decisione irreversibile di sua figlia la sta precipitando. Lei sola comprende la condanna di una scelta che, in nome di una identità fittizia in cui la ragazza ha riposto tutte le sue illusioni di felicità, le offrirà una vita di dolorose e continue rinunce nel corpo e nell’anima. La donna sa di essersi immolata come donna sull’altare dell’amore materno. L’impossibilità di dire no alle richieste di Eva, ignorandone il dolore esibito fino al tentativo di suicidio, ha smantellato la sua storia personale e di coppia. Mentre nella sala operatoria smembrano Eva, la madre sa che tutto intorno a lei è stato smembrato, consegnato a un punto di non ritorno, reso confuso in un abisso di sofferenza che non può condividere con nessuno, se non in parte col padre di Eva. Quella Eva che a breve diventerà Alessandro, questo è il nome che ha scelto per la sua identità maschile, incurante di ogni pena che non sia la sua, di ogni richiesta che non le prema dentro, va man mano frammentando il corpo e l’anima di sua madre. Noi lettori assistiamo a questo monologo impietoso che viviseziona due vite indissolubilmente legate l’una all’altra.
La scrittura della Ferreri è quella giusta per immergerci nella crudezza di questa storia, entra nei dettagli, scava, grida, senza paura delle parole che feriscono, ciò che sembrerebbe inenarrabile e che invece esplode nella pagina con il corpo straziato di Eva, con la disperata quiescenza di sua madre, in un flusso ininterrotto di ricordi, di sensazioni, di dubbi esplosi d’improvviso nell’apparenza di una vita normale. La metamorfosi irreversibile che un chirurgo marchierà per sempre nel corpo e nella vita di Eva provocherà anche la metamorfosi di sua madre che non potrà mai più tornare ad essere ciò che era, né aspirare a connotare la sua vita al di là di quel grumo di dolore che le ha occupato l’anima. La necessità di Eva di diventare maschio, allargatosi come una escrescenza tossica sulle vite di tutti, ha generato un tempo personale e familiare di ricatti, sofferenze, incomprensioni, ha distrutto i suoi genitori come individui e come coppia, ha fatto di sua madre non più una donna ma una Mater dolorosa ai piedi della croce. Paradossalmente, ma nella piena coscienza della sua autrice, in questo libro dove si rinuncia alla femminilità, il femminile si mostra in tutte le sue molteplici sfumature e man mano che l’esser donna di Eva va perdendosi, noi lettrici, nel compresso dolore di sua madre, ritroviamo il senso più pieno e profondo della nostra femminilità.
Silvia Ferreri con rigore e emozione, in un crescendo narrativo impossibile da abbandonare, ci racconta questa imperdibile Via Crucis.