Gli uomini d’amore chiedono più libertÃ
Napoletani, uomini d’amore! Così, almeno, parlò Bellavista. ‘O professore, però, mai avrebbe pensato che il suo popolo, in un giorno di primavera dell’anno 2009, si sarebbe reso capace di un gesto tanto cavalleresco nei confronti del gentil sesso. Si sa, ad un popolo d’amore fa sempre eco una rappresentanza politica d’amore, e così, in quel giorno di primavera – esattamente il 27 marzo 2009 – i rappresentanti gentiluomini del popolo campano approvano una legge elettorale che suona così: se si esprimono due preferenze, una deve riguardare un candidato maschile e l’altra un candidato femminile della stessa lista. Pena l’annullamento della seconda preferenza. Storcono il naso gli uomini di libertà . L’imposta parità di chances frustra la libera scelta dell’elettore. E’organo neutro il Consiglio regionale, e al popolo non interessa il sesso del governante: chiunque sia governi bene! I legislatori regionali campani evidentemente mirano alla pari rappresentanza. Si dotano di uno statuto non limitato all’antidiscriminazione, ma addirittura votato alla garanzia di quote sex based. La maieutica legislativa partorisce questa legge elettorale “della preferenza di genere”. Garantita la parità sessuale, l’unico discriminato resta l’elettore. Non si senta, però, vittima isolata. Travolto dallo “tzunami” sentimentalista, egli non ha appigli. Neanche normativi. Il quadro internazionale è chiaro: è promossa la piena parità di armi tra sessi in politica. Si trascura, tuttavia, il dato ontologico: non tutti sanno governare. La discriminazione naturale è tra chi è capace e chi non lo è. Ed è discriminazione cieca. Sono misure oculistiche la Convenzione di New York, la Carta di Nizza e il Trattato sull’Unione europea che prevedono assetti elettorali equilibrati. Creano lenti correttive. Le indossano con nonchalance la Francia, il Portogallo, la Spagna, il Belgio. E visti i risultati, ci riflettano su. Alcuni legislatori regionali italiani tentano timide aperture. La Consulta chiude loro la porta in faccia: su questa v’è scritto “non c’è copertura costituzionale”. Si ritocca negli anni l’assetto normativo. Siamo tutti uguali davanti alla legge, senza discriminazioni sessuali: è faro egualitario l’articolo 3 della Costituzione. Ma emana luce fioca dopo la riforma dell’articolo 51 che promuove le misure intese a garantire le pari opportunità politiche tra uomo e donna. Il messaggio è univoco, ma nella corsa alla comprensione i governanti regionali captano il precetto prima dei partiti. Si impongono “dall’alto” liste eterogenee, e le forze politiche sono costrette a capriole diaboliche. Nel 2003 finisce davanti alla Consulta, impugnata dal Presidente del Consiglio, la legge elettorale della Valle d’Aosta che vieta liste unisex. La relativa dichiarazione di legittimità crea un effetto domino. Tutte le regioni si dotano di leggi intese al fair play sessuale. Come se i competitori partano naturalmente tutti alla pari! Le previsioni sono neutre, e salvano il decoro costituzionale. Non si favorisce la partecipazione femminile, ma soltanto una partecipazione sessualmente allargata. Che il fiocco sia rosa o azzurro, insomma, poco importa. Non si fanno nomi, la validità è salva. Ma il movente legislativo è la discriminazione sessuale. Le ingiustizie di secoli creano diritto. Di fronte ad istanze di riequilibrio, quindi, la neutralità scade ad incoerenza. La Campania fa qualcosa in più, prevedendo la doppia preferenza mista. Legge ermafrodita, ma costituzionalmente legittima. Lo dice a chiare lettere la Corte costituzionale che questa non è norma idonea a prefigurare un risultato elettorale. Non altera la rappresentanza, anzi la riequilibra. Sono uomini d’amore mascherati i giudici della Consulta. La nuova regola tende al riequilibrio ma, lungi dall’imporlo, si limita a favorirlo. Legge premiale, dunque. Non sarebbero evidentemente stati sufficienti meri ritocchi promozionali: incentivi ai partiti più eterogenei, sgravi fiscali sul materiale elettorale, sconti di oneri burocratici nella presentazione delle liste. Misure, insomma, tese alla partecipazione alla vita politica, prima ancora che al diritto alla rappresentanza. Anche per il legislatore campano serviva di più, e si è scelta una legge in cui la libertà di scelta è una chimera. Ma è grasso che cola, questa legge, se la si pone a confronto con quella delle elezioni nazionali. Lì la scelta è frustrata in nuce. La forma della frustrazione è una X sulla scheda. L’onore della preferenza è ormai un lusso per pochi. La libertà del voto campano non è quindi intaccata. La seconda preferenza va salutata addirittura come un “premio”. Sarebbe scortesia elettorale vantare libertà su questo regalo. Non serve accettazione, ci si limiti a ringraziare.
Giulio Garofalo