«Giacchino mettette ‘a legge e Giacchino fuje ‘mpiso (o nell’altra variante “murette acciso”)».
Proverbi anonimi che sembrano tagliati apposta per ogni occasione in maniera ‘tuttologa’ ma che, in realtà, dovrebbero solo farci capire che tutto scorre inesorabilmente seguendo la ‘Legge della conservazione della massa’: «Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma».
Tornando a Giacchino, ( che storicamente si fa coincidere con l’inflessibile Generale Gioacchino Murat che finì i suoi giorni in virtù dell’applicazione di una legge che egli stesso aveva strenuamente voluto, ma qui storia e leggenda poi si confondono inesorabilmente) che poi oggi sarebbe Giggino diminutivo con il quale si usa definire il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, è proprio applicabile quel proverbio, quella massima perla di saggezza che suonerebbe poi come sinonimo di mille altri proverbi tipo: “Ti è piaciuta la bicicletta? Ora pedala”, o “chi di spada ferisce, di spada perisce” e millecinquecento altre banalità del genere.
Certo, De Magistris è stato magistrato e ora viene colpito e fiaccato per mano giudiziaria da parte di un giudice che ha applicato una legge, quella stessa legge da egli stesso invocata più e più volte nella sua prima e nella sua seconda carriera.
No, questo non è il millesimo articolo sulle vicende di De Magistris; tanti altri colleghi molto più bravi e preparati di chi scrive hanno sviscerato, intervistato, dedotto e sentenziato ancor meglio del tribunale che ha emesso la sentenza.
Una riflessione sulle reazioni, una riflessione sulle reazioni a Napoli, solo quella vogliamo fare in questa sede; registrare e raccontare – da semplicissimi cronisti- quello che è stato detto dal momento che è stata divulgata la notizia della sentenza di condanna.
Napoli è storicamente una città strana, viscerale, solare ed uterina, si sa. Napoli è la città che ha vissuto la melma delle epoche pentapartitiche, quadripartitiche, laurine; la speranza dell’ era Valenzi e del primo Bassolino; la mefitica aria da basso impero dell’era Iervolino o Milanesi.
Ancora oggi si ‘rimpiange’, addirittura il birbone-borbone e ci si crogiola nel dolce oblio di quanto era bello il Regno bisiciliano avversando, giustamente, un Regno d’Italia e una Repubbilica che mal ci digerisce per il sol fatto di essere napoletani.
Per questo Napoli è una città che dimentica facilmente ma perdona con molta più difficoltà e le reazioni alla condanna del sindaco ne sono l’esplicitazione.
Lasciamo da parte quella che ora è minoranza a Palazzo San Giacomo e che non lesina sputi al veleno derivanti dai vari travasi di bile che ha dovuto ingugitare, per le proprie mancanze prima ancora che per i meriti acquisiti del sindaco. Quella conta ben poco, come i numeri dei voti che ha.
Luigi De Magistris sta cadendo fiaccato dal proprio super-io. Per carità, lasciamo stare Freud dirà qualcuno, giusto, ma crediamo che quanto il sindaco sta vivendo oggi, il fatto che non si ritrovi intorno amici ma solo seguaci, tifosi nella migliore tradizione degli ultimi venti anni e passa, sia il prodotto di quanto egli stesso ha seminato.
Giggino, che intelligente lo è, capì benissimo appena eletto che per il modus con cui era stato eletto (la percentule bulgara di voti ricevuta, l’aver stracciato, non solo la destra di Lettieri e compagnia ma quella sinistra incarnata da un partito democratico disintegrato) prima o poi avrebbe pagato dazio. Questa consapevolezza lo ha messo nella condizione di ‘isolarsi’ sempre più progressivamente e porsi in una condizione che lo ha scollato sempre più da chi lo ha eletto non certo per fedeltà ideologica o simpatia personale.
Oggi, quel conto glielo stanno portando tutti costoro che non aspettavano altro che ciò si verificasse. No, non è l’atteggiamento degli “innamorati” traditi, i napoletani non erano innamorati di Giggino. Napoli è una bagascia della peggior risma pronta a darsi al primo che riesce a circuirla con profferte di qualsiasi tipo: sanfedista nelle viscere.
Questa di De Magistris è una brutta storia, una storiaccia, di quelle alla Giacometti per intenderci, quello della “Morte Civile”, giusto a mezzo con situazioni decisamente pirandelliane in cui “uno, nessuno e centomila” ruotano intorno e le maschere hanno sostituito le facce.
Quindi, fuori De Magistris che o si convincerà a dimettersi o ancora altre palate di sterco addosso dovrà aspettarsi e avanti un’altro, perché come scriveva Roberto De Simone qua : «…ogni vvota si cagn’o gioco, ccà nce appennen’a si loca »!