La guerra della Plastica di Guido Fontanelli
Guido Fontanelli è l’autore di un libro che tutti dovrebbero leggere, perché ormai la plastica è un argomento che riguarda tutti, e direttamente. Dalla lettura del libro, edito da Microscopi Hoepli, capiamo che sull’argomento non c’è una corretta informazione utile ad avere un quadro chiaro della situazione.
Solo per fare un esempio, cito i Paesi in via di sviluppo , la cui gestione dei rifiuti pesa tantissimo sul bilancio dell’ inquinamento mondiale. Non si dice però, che la maggior parte della plastica che questi paesi non riescono a gestire, gliela mandiamo proprio noi… E poi, cos’altro c’è che non sappiamo? Tanto, e ce lo facciamo raccontare da Guido Fontanelli
Intervista a Guido Fontanelli
Molte persone, come me, fanno la raccolta differenziata pensando di aver dato un contributo importante alla lotta contro la plastica. Invece, leggendo il suo libro, scopro che non è così. La maggior parte della plastica che utilizziamo non può essere riciclata, perché formata dall’unione di polimeri diversi. Quel prodotto che getto nel contenitore in realtà va negli inceneritori. Perché secondo lei non si promuove una corretta campagna informativa?
Lei ha usato una parole-chiave: la maggior parte. Ma una parte non trascurabile degli imballaggi che mettiamo nel cestino riservato alla plastica viene recuperato e riutilizzato. Le bottiglie di pet, per esempio. Oppure i tappi delle bottiglie. Inoltre è sempre meglio che la plastica finisca in un inceneritore piuttosto che nell’ambiente. E poi le tecnologie per recuperare la plastica, smontando i polimeri che la compongono per ricrearne di nuova, stanno facendo passi da gigante. Quindi è giusto continuare a mettere la plastica nella differenziata. Ed è altrettanto vero che l’informazione ai cittadini dovrebbe essere più chiara e più semplice: per esempio pochi sanno che il riciclo della plastica riguarda soprattutto imballaggi e bottiglie, e non, per esempio, i vecchi giocattoli. Vi consiglio di andare sul sito del Corepla per saperne di più.
Dal suo libro emerge che ormai la plastica fa parte della nostra vita, ce la ritroviamo ovunque finanche nel nostro corpo, e la utilizziamo per tutto, dalle creme alle magliette sportive. Lei pensa che oltre a leggi nuove e più incisive, sia necessaria una vera rivoluzione culturale? In realtà la plastica ci fa tanto comodo…e poi, è così economica!
Secondo me il meccanismo corretto è: la gente viene informata, i movimenti di opinione fanno pressione sulla politica e alla fine i Parlamenti legiferano in modo da dare nuove regole. Basta una legge per eliminare la plastica dai dentifrici o dalle creme, che possono usare la bioplastica al suo posto. Oppure si possono obbligare i produttori di lavatrici a installare filtri speciali. Più che una rivoluzione ci vuole quella progressiva presa di coscienza che piano piano si fa strada nell’opinione pubblica e nella politica, come è accaduto per esempio con il fumo.
Dalle sue ricerche apprendo che in Kenya esiste una legge varata nel 2017 che mette al bando le buste di plastica e infligge pene fino a 4 anni di prigione e una multa di 38 mila dollari per chi vende o produce sacchetti di plastica. Secondo lei perché è così difficile far passare una legge del genere in Italia e in Europa?. Ci sono le lobby industriali che il Kenya non ha? O secondo lei c’è dell’altro?
L’esempio del Kenya è interessante perché mostra come in un Paese meno sviluppato del nostro l’emergenza rifiuti è così elevata da arrivare a provvedimenti un po’ esagerati. Da noi i sacchetti di plastica sono fuorilegge da anni e comunque l’inquinamento da plastica è un problema meno visibile che nei Paesi del terzo mondo: non abbiamo i fiumi completamente ricoperti di rifiuti e il sistema della raccolta è efficiente. Il problema è che molta della nostra plastica finisce dopo essere stata raccolta proprio nei Paesi più poveri che non sanno dove metterla. Certamente anche da noi ci sono le lobby: per esempio i bicchieri di plastica non sono stati messi al bando in Europa pare per pressione dei produttori tedeschi, ma magari è solo una leggenda…
Continuando la lettura del suo libro scopro con rammarico che tutte le soluzioni alternative alla plastica (tra cui carta e vetro) in realtà si portano dietro altri problemi che vanno comunque a pesare sulla nostra salute. Sembra una strada senza uscita. Lei che idea si è fatto dopo essersi documentato tanto?
Sono un ottimista e confido nella tecnologia: se riusciamo a produrre bioplastica a prezzi più vantaggiosi e a sviluppare sistemi che riescono a creare nuova plastica utilizzando quella usata, abbiamo risolto gran parte del problema. Ma nel frattempo sono molto preoccupato per i Paesi più poveri, che hanno trovato nella plastica una soluzione a tanti problemi ma che non hanno gli strumenti e i mezzi per gestire i rifiuti. Nel capitolo “diario dal fronte della politica” lei specifica che l’Italia è stata pioniera nella lotta alla plastica.
Già nel 2011, ha intrapreso un cammino solitario rispetto all’Europa, che vieta le buste non compostabili. Mi domando: ma alla teoria, che lei sappia, fa seguito la pratica? Mi spiego meglio. Ci sono degli enti che fanno rispettare la legge? Qualcuno controlla? Multe, ce ne sono? Mi sembra di aver capito che vinciamo la lotta alla plastica solo se non la produciamo più.
Multe e controlli ce ne sono e anche i furbi non mancano. Ma in generale le grandi catene di distribuzione sono molto attente a dotarsi di sacchetti compostabili. Non solo: sono loro a costringere i fornitori a non usare i contenitori di plastica e a passare a quelli di carta o di bioplastica, quando è possibile. E come avrà visto, per le aziende del largo consumo sta diventando un elemento di marketing segnalare il fatto che non si usa più la plastica: Barilla per esempio ha annunciato di aver eliminato la finestrella di plastica dalle sue confezioni. Oppure Unilever ha pubblicizzato le nuove vaschette compostabili di gelato. Quindi, come dice lei, la soluzione è produrre meno plastica e molte aziende stanno andando per fortuna in quella direzione. Ma dobbiamo anche produrre meno rifiuti.
Alla fine del libro ho percepito un chiaro ottimismo da parte sua. Un’azione concertata tra opinione pubblica, ricerca scientifica e governi nazionali e internazionali potrebbe davvero portarci sulla strada giusta?
Esatto, è proprio così. Ma non facciamoci troppe illusioni: ci vorrà tempo. L’importante è continuare a informare i lettori e tenere desta l’attenzione contro l’uso abnorme e ingiustificato della plastica. Come sta facendo anche lei con questo articolo.