Da sempre frontiera tra est ed ovest, l’Ucraina è uno dei paesi chiave della politica economica europea che ha registrato una crescita del Pil del 7.2% nel 2007 e del 6.5% nel 2008, nonostante la crisi. Una posizione geopolitica fondamentale per l’Europa grazie ai giacimenti di gas e petrolio presenti in Crimea dalla quale ne effettua il trasporto all’Unione Europea attraverso il suo moderno sistema di gasdotti.
Diverso l’equilibrio geopolitico che si prospetta dopo la firma dell’Accordo associativo di partenariato con l’UE arrivata a marzo, ma la cui parte economica verrà affrontata dopo le elezioni presidenziali di maggio. Un si che ha portato la Russia ad annettere la Crimea e occupare la base navale di Feodosia privando l’Ucraina dei giacimenti di gas e petrolio, che dovrà pagare a Mosca 1,66 miliardi di dollari entro il due giugno per le forniture di gas del prossimo mese; come richiesto dal colosso energetico russo, Gazprom.
Un accordo, quello con l’Ucraina che fa presagire un futuro ulteriore allargamento a est dell’Unione Europea. Ma quali sono stati i benefici di quest allargamento? Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Slovenia, Croazia e paesi Baltici; questi gli stati dell’ex blocco sovietico che nell’arco di dieci anni hanno aderito all’Unione Europea, diventando le basi produttive dell’Ovest e raggiungendo tra il 2000 e il 2008 un tasso di crescita del PIL del 4,6%, superiore a quello occidentale che è rimasto al 2.3%.
Gli elementi che hanno favorito tale crescita sono state in parte le privatizzazioni messe in atto dai singoli stati, l’aiuto proveniente dai fondi strutturali europei ma soprattutto l’investimenti di capitali esteri. Al culmine del 2007 infatti, i flussi netti di investimenti diretti esteri nelle economie PECO erano pari a 47 miliardi di dollari ovvero il 5% del PIL dell’area, circa il doppio della media BRIC. Elementi che tuttavia non si può dire abbiano portato ad un livello occupazionale ottimale; ne è un esempio la Polonia, che nonostante sia l’unico membro dell’Unione europea che dopo il 2008 non è caduto in una recessione economica mantenendo una crescita positiva, continua a registrare un tasso di disoccupazione del 13.9%.
L’allargamento ad est ha portato ad un aumento del 5% del Pil comunitario, rispetto all’Europa e ad un incremento del 30% della popolazione che dunque si è vista aprire le porte verso nuove mete in cerca di fortuna e di una paga migliore. Il reddito pro capite medio nei paesi PECO corrisponde al 47% di quello dell’Unione a 15, ovvero meno della metà.
In Polonia infatti la paga di un operaio è all’incirca di 500 euro mensili per 40 ore settimanali, troppo poco secondo Andrej. Lui fa il muratore e in Irlanda ci vive da 10 anni, eppure con l’inglese non se la cava granchè. Quello che tuttavia è chiaro è che Andrej la Polonia l’ha lasciata 10 anni or sono perchè lì la paga non era abbastanza e così con la famiglia è venuto qui a Youghal, nella Contea di Cork dove la paga minima di un operaio è di 8.65 lordi l’ora.
E non è poi tanto diversa la storia di Ana; una donna dell’est sulla cinquantina che gestisce un negozio di alimentari. Salsicce, affettati e dolciumi che provengono direttamente dalla sua terra, la Polonia. Ana ha i capelli biondi e i tratti somatici non smentiscono la sua provenienza. La sua conoscenza dell’Inglese, nonostante si trovi in Irlanda da più di tre anni, è troppo superflua per poter affrontare una lunga conversazione, d’altronde il polacco continua ad essere la sua lingua d’ogni giorno. Il motivo è di certo la reciproca scarsa integrazione con la comunità locale che risulta ovvia dopo già pochi minuti di permanenza nel negozio: gli unici clienti sono polacchi.
Andrej e Ana non sono i soli ad aver lasciato il loro paese, come loro tanti altri l’hanno fatto, cavalcando l’onda favorevole dell’allargamento europeo ad est. Con l’entrata della Polonia nell’Unione Europea nel 2004 si è registrata un’impennata del flusso migratorio polacco in particolare verso Regno Unito e Irlanda. In quest ultima secondo il censimento del 2006 i cittadini polacchi erano 63.276 , un numero che probabilmente è aumentato drammaticamente dopo il censimento, di questi quasi il 90% è arrivato nel 2004 o più tardi.
Se dieci anni fa entrare a far parte dell’Unione Europea rappresentava una marcia in più in termini di crescita economica, democrazia e stabilità, con il passare degli anni, tale stabilità è venuta meno portando i paesi a riflettere sul valore dell’Unione stessa. La crisi del 2008 ha infatti evidenziato i punti deboli dell’allargamento europeo: le vulnerabilità e l’interdipendenza economica dei paesi europei. Ma quello che è risultato ovvio è quanto la crescita dei PECO sia legata agli investimenti esteri provenienti dall’occidente e dunque all’Europa a 15. Tali investimenti hanno infatti subito un forte ridimensionamento dopo la crisi finanziaria ed economica del 2008 provocando una frenata d’arresto nei PECO.
Nel 2010 infatti gli afflussi IDE annuali erano 20 miliardi dollari (€ 15 miliardi), meno della metà rispetto al 2007 e ciò ha reso più difficile per le economie PECO finanziare il debito pubblico. Ciò ha messo in luce le lacune delle politiche economiche dei paesi PECO che negli anni del boom hanno gestito male la politica economica interna destinando poche risorse al risparmio interno e all’investimento in ricerca e sviluppo (1% del Pil rispetto al 2,1% dell’UE a 15).
Un’Europa che assume giorno dopo giorno nuove forme ed equilibri, che siano quelle di un nazionalismo rinato, di un europeismo dimenticato, di una destra xenofoba o di semplici persone, come Ana e Andrej che in questa Unione Europea non vedono null’altro se non la possibilità di lasciare il proprio paese in cerca di una paga migliore.