La Biblioteca del Mondo è la mostra realizzata dalla Fondazione Memmo, opere che usano il libro come materiale di costruzione
Umberto Eco
Alla Fondazione Memmo fino al 21.04.2024 sarà possibile ammirare la mostra Conversation piece, La Biblioteca del Mondo, uno sguardo su Roma come biblioteca a cielo aperto e punto di riferimento per l’arte contemporanea internazionale.
L’esposizione, a cura di Marcello Smarrelli, rientra nel ciclo Conversation piece, una serie di mostre con cadenza annuale che hanno l’obiettivo di effettuare un focus sugli artisti italiani e stranieri che scelgono Roma come luogo di ricerca artistica, residenza e lavoro.
Il titolo della nona edizione si riferisce all’omonimo documentario del 2022 in cui si raccontava la leggendaria biblioteca di Umberto Eco. Lo scrittore considerava le biblioteche dei contenitori della memoria dell’umanità e la mostra, organizzata dalla Fondazione Memmo, vuole in un certo qual modo ripercorrere quel pensiero, mettendo Roma al centro di un’esperienza che la collega idealmente alla cultura universale.
La Biblioteca del Mondo ha coinvolto nove artisti di nazionalità diversa che restituiscono al pubblico una propria visione della “biblioteca”. Le opere in esposizione sono di Yael Bartana (1970, Israele),Nicolò Degiorgis (1985, Bolzano), Bruna Esposito (1960, Roma), Claire Fontaine (artista collettiva fondata a Parigi nel 2004 da Fulvia Carnevale e James Thornhill), Paolo Icaro (1936, Torino), Kapwani Kiwanga (1978, Hamilton, Canada), Marcello Maloberti (1966, Codogno), Francis Offman (1987, Butare, Ruanda), Ekaterina Panikanova (1975, San Pietroburgo, Russia).
La Biblioteca del Mondo alla Fondazione Memmo
Il pubblico ha quattro sale per immergersi nelle opere degli artisti. Di grande suggestione è il lavoro di Ekaterina Panikanova, Untitled (Forest) che apre la prima sala della mostra. Un lavoro di grandi dimensioni in cui il libro è il protagonista indiscusso. Immagini a china realizzate dall’artista, trapelano tra le pagine dei libri che si intrecciano e si adagiano tra i rami di un albero creando un ideale libro di memorie tridimensionale.
Dall’opera di grandi dimensioni della Panikanova si può passare alle interessanti fotografie a colori (Scenes from Maska Germania) di Yael Bartana, che ha indagato il desiderio di redenzione collettiva in un mondo connotato da forti inquietudini sociali, politiche e religiose.
Originalissima è l’opera di Nicolò Degiorgis (Bolzano, 1985), Heimatkunde, una casetta di quaderni, che prende spunto dal suo quaderno di Heimatkunde, una disciplina praticata nelle scuole elementari di lingua tedesca dell’Alto Adige fino agli anni Novanta del Novecento, per insegnare agli alunni come costruire la propria identità.
Dai libri si può passare al video con l’opera di Bruna Esposito che ha realizzato una video istallazione dal titolo L’Infinito di Leopardi nella Lingua dei segni italiana (2018). Il lavoro è stato concepito a Recanati, città natale del poeta. Un video proiettore è posto su un’incerta pila di libri sul pavimento. La proiezione mostra le immagini di un’interprete LIS mentre traduce i versi della poesia di Leopardi nella lingua dei segni.
Mattoni che diventano libri, invece, nell’opera di Claire Fontaine con la serie dei Brickbat (2002-2023). Libri sparsi sul pavimento i cui titoli scelti dall’artista rimandano ad autori che hanno espresso posizioni politiche e filosofiche decisive dagli anni Sessanta a oggi. La fusione di questi due oggetti (libro e mattone), diventa così la metafora visiva della citazione di Carlo Levi: Le parole sono pietre.
L’opera di Tolstoj, Guerra e Pace, troneggia all’entrata della mostra, sospesa da fili metallici. E’ il lavoro di Paolo Icaro, Con Equilibrio (2023), un’edizione italiana del capolavoro dello scrittore russo su cui l’artista ha posto un foglio di carta con scritto Guerra e pace in russo e in ucraino. Icaro così unisce passato e presente in una sorta di monito a tutta l’umanità.
Un altro tema importante è trattato da Kapwani Kiwanga con Greenbook (1961) (2019), un lavoro ispirato al Negro Motorist Green Book, una guida statunitense rivolta ai viaggiatori afroamericani. Con quest’opera (tre stampe incorniciate alla parete) l’artista intende sottolineare come le differenze razziali precludano ai non bianchi l’accessibilità alle risorse e alle conoscenze.
Francis Offman invece, presente l’anno scorso a Quotidiana a Palazzo Braschi, presenta un’installazione site-specific (Untitled) in cui il caffè è il protagonista di una lunga storia. Un dipinto alla parete dialoga con una serie di libri sul pavimento che sono ricoperti di caffè e sorretti da dei calibri, simbolo di grandi problematicità. Il calibro, infatti, come racconta Offman, è utilizzato in Ruanda per determinare le differenze etniche, ma è stato anche lo strumento impiegato dall’antropologo e criminologo Cesare Lombroso per le sue teorizzazioni sulla fisiognomica.
Chiude la visita (o la apre, dipende se vi è saltata subito all’occhio) l’opera site-specific di Marcello Maloberti, nel cortile delle Scuderie. Si tratta di una scritta luminosa con la frase CHI MI PROTEGGE DAI TUOI OCCHI collegata ad un’altra, sempre dello stesso autore, sulla facciata di Palazzo Ruspoli in via del Corso che, come la prima, intende creare un dialogo serrato con lo spazio pubblico.