Si parla spesso delle determinanti genetiche e ambientali della disabilità, ma difficilmente i media approfondiscono la soggettiva condizione di chi vive l’esperienza quotidiana del “diverso”. Che cosa viene a rappresentare di fatto la nascita di un figlio disatteso? Quali sono le emozioni che esso suscita nei genitori? La nascita di un bambino con handicap mette in gioco una riorganizzazione non solo ambientale- strumentale, ma soprattutto produce una disorganizzazione del sé soggettivo di ciascun genitore e del sé di coppia. L’entourage familiare non sa che fare: se festeggiare o essere in lutto per l’arrivo del bambino. Il vero perno del welfare è la famiglia, su di essa ricade dunque la responsabilità e il peso dell’assistenza della persona con disabilità. L’essere genitore di un figlio disabile diviene una condizione psicologica, intrasoggettiva, oltre che intersoggettiva e sociale soprattutto quando gli stessi genitori sono consapevoli di vivere e sostenere quel figlio in un eterno presente, che non andrà mai via perché bisognoso di sempre maggior sostegno sino all’età adulta. I dati Censis confermano questa situazione. I disabili adulti rimangono in carico alla responsabilità delle loro famiglie con sostegni istituzionali limitati focalizzati quasi esclusivamente sul supporto economico. La spesa per le prestazioni di protezione sociale per la disabilità è pari a 437 euro pro-capite all’anno, superiore solo alla Spagna (404 euro) e molto inferiore alla media europea di 535 euro (il 18,3% in meno).
Colpisce quanto poco sviluppata sia la spesa per i servizi in natura, che rappresenta solo il 5,8% del totale, cioè 25 euro pro-capite annui, meno di un quinto della media europea e inferiore anche al dato della Spagna. Tali condizioni peggiorano con l’età. L’accesso ai servizi e alle risorse si riducono per i disabili. Secondo i dati Censis aggiornati sono 4,1 milioni i disabili in Italia, le persone con Sindrome di Down di 25 anni e oltre, il 32,9% frequenta un centro diurno, ma il 24,3% non svolge alcuna attività. Tra le persone con autismo dai 21 anni in su, il 50% frequenta un centro diurno, ma il 21,7% non svolge nessuna mansione. I genitori delle persone autistiche e delle persone Down si prendono cura dei propri figli per 17 ore al giorno. E il costo annuo arriva a circa 44.000 euro per famiglia ( persone Down) e circa 51.000 euro ( soggetti affetti da spettro autistico).
In relazione a questa desolante condizione, arriva una ulteriore conferma alla principale preoccupazione delle famiglie, quella per il futuro dei loro figli con disabilità, dopo che la famiglia stessa non potrà più occuparsene. “Nel tempo – dichiara il Censis – aumenta il senso di abbandono delle famiglie e cresce la quota di quelle che lamentano di non poter contare sull’aiuto di nessuno pensando alla prospettiva di vita futura dei propri figli disabili. Mentre tra i genitori di bambini e ragazzi Down fino a 15 anni la quota di genitori che pensa a un ‘dopo di noi’ in cui il proprio figlio avrà una vita autonoma o semi-autonoma varia tra il 30% e il 40%, tra i genitori degli adulti la percentuale si riduce al 12%. La quota di genitori di bambini e adolescenti autistici che prospettano una situazione futura di autonomia anche parziale per i loro figli (23%) si riduce ancora più drasticamente (5%) tra le famiglie che hanno un figlio autistico di 21 anni e più”. Il tempo per i genitori con figli disabili si ferma. L’impossibilità di riconoscere la crescita da parte di ragazzi disabili induce questi a mettere in atto comportamenti autolesionisti poiché l’esperienza relazionale con il mondo esterno è limitata. La difficoltà del genitore è quella di vedere il figlio oltre l’handicap e la tendenza a rappresentarlo nelle sue condizioni mancanti piuttosto che valorizzarne le peculiarità. La difficoltà di rispecchiamento unita all’impossibilità di prefigurasi una soggettività bisognosa di essere vista e pensata, costituisce per il genitore un rinnovarsi di un lutto che non ha fine e che trova conferma anche all’esterno. L’incomunicabilità tra madre e figlio si unisce alla dimensione sociale e culturale dell’esclusione e del rifiuto. La nascita di un bambino diversamente abile ha un profondo impatto sulla crescita affettiva dei fratelli, quest’ultimi vengono precocemente “adultizzati” e responsabilizzati perché i bisogni del fratello malato vengono posti in primo piano. La vergogna e l’isolamento sono i sentimenti predominanti, il sentirsi incompresi e l’esigenza di nascondersi dagli altri a causa della vergogna provata sono le risposte comportamentali più frequenti. Un altro aspetto da sottolineare è il cambiamento della vita sessuale investita dalla presenza di un figlio disabile. La sessualità genitoriale viene vissuta come il luogo della colpa, la causa della sofferenza. Ogni momento piacevole è abolito, rifiutato, l’insorgere dell’angoscia legata alla colpa non lascia più spazio all’intimità genitoriale. La scuola gioca un ruolo fondamentale a fianco della famiglia, nel processo di presa in carico e inclusione della persona con disabilità nella società, rappresentando forse l’unica risposta istituzionale efficace, su questo fronte. Ricorda il Censis che il numero di alunni disabili nella scuola statale è cresciuto dai 202.314 dell’anno scolastico 2012/2013 ai 209.814 del 2013/2014 (+3,7%). Contemporaneamente è aumentato il numero dei docenti di sostegno: dai 101.301 del 2012/2013 ai 110.216 del 2013/2014 (+8,8%)”. “I bambini Down in età prescolare – riferisce l’indagine del Censis – che frequentano il nido o la scuola dell’infanzia sono l’82,1%, tra i 7 e i 14 anni l’inclusione scolastica raggiunge il 97,4%, ma già tra i 15 e i 24 anni la percentuale scende a poco meno della metà, anche se l’11,2% prosegue il percorso formativo a livello professionale. Tra i ragazzi affetti da disturbi dello spettro autistico, fino a 19 anni è il 93,4% a frequentare la scuola, ma il dato scende al 67,1% tra i 14 e i 20 anni, e arriva al 6,7% tra chi ha più di 20 anni”.