Digitale e innovazione: italiani divisi tra “voglia di futuro” e paure di fronte a un Paese che sta cambiando. Le nuove tecnologie, da una parte, sono viste come un’opportunità ma, dall’altra, resta una forte diffidenza: sono in molti a pensare che i processi di automazione sottrarranno lavoro e l’innovazione produrrà nuovi e più ampi divari sociali. Il dato emerge dal Rapporto 2017 Agi-Censis ‘La cultura dell’innovazione’ presentato questa mattina a Montecitorio, alla presenza della presidente della Camera, Laura Boldrini, del direttore di Agi, Riccardo Luna, e del segretario generale del Censis, Giorgio De Rita, nel corso l’evento “#InnovazioneItalia: storie, idee e persone che cambiano il mondo” promosso da Agi.
Dal rapporto viene fuori la consapevolezza che all’innovazione si affida oggi la vitalità e la sopravvivenza stessa a medio e lungo termine di qualsiasi aggregato sociale. Anche le imprese sono sotto sforzo perchè l’innovazione continua è la porta stretta per restare competitive. Insomma, la “lentissima” trasformazione digitale nel nostro Paese è in corso e siamo sulla strada giusta anche grazie all’opera del Team per la Trasformazione digitale della Pa e agli strumenti messi in campo per le imprese dal ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda.
Insomma, si tratta di vincere il “panico tecnologico non negandolo, perché si otterrebbe l’effetto opposto, ma dando risposte concrete ai singoli problemi”. L’anno che sta per concludersi è stato cruciale per il digitale, dai profitti d’oro per i grandi del web, alle fake newsche sono lievitate ovunque, dai morti in diretta su Facebook fino ai furti di milioni di dati online: ora bisogna scegliere la strada giusta da percorrere.
Italiani fiduciosi
Nel dettaglio, il report evidenzia che la maggior parte degli italiani è fiduciosa: le innovazioni degli ultimi vent’anni hanno impattato positivamente sull’economia e la società italiana determinando però anche alcuni piccoli problemi (57,9%). Un sostanziale equilibrio tra i benefici apportati e i problemi generati viene segnalato dal 20,3% degli intervistati. Completano il quadro le opinioni estreme, quelle degli “autentici tifosi” dell’innovazione, concentrati unicamente sulla sua valenza positiva (14,2%) e quelle dei “nostalgici” del passato che riescono a vedere “più problemi che benefici” nei processi innovativi (7,3%).
Paura per i divari sociali e la perdita di posti di lavoro
Per molti, il 51,4%, i processi di innovazione hanno prodotto nuovi divari sociali, mentre il 47,8% è convinto che abbiano contribuito a ridurli. Le variabili socio-economiche influenzano notevolmente le posizioni espresse: tra i ceti sociali più bassi cresce la quota di coloro che teme un’amplificazione dei divari (66,7%).
Anche per quanto riguarda le ricadute dei processi innovativi sulle opportunità di lavoro, una quota degli italiani non nasconde le proprie preoccupazioni. Il 37,8% degli intervistati (tra i 18 e agli 80 anni) è convinto che processi di automazione sempre più spinti e pervasivi determineranno un saldo negativo dei posti.
Al contrario, il 33,5% degli intervistati ritiene che le opportunità aumenteranno in uno scenario di nuovi lavori ancora per gran parte inesplorato. Completano il quadro coloro (il 28,5% del totale) che ritengono che i posti di lavoro nel complesso non varieranno in termini numerici e che il cambiamento riguarderà semmai il tipo di lavoro.
Le maggiori preoccupazioni si riscontrano tra le famiglie di livello socio-economico più basso e tra le persone che non hanno titoli di studio elevati.
Il ritardo dell’Italia e le possibilità di recupero
Si registra una notevole sfiducia sulle capacità dell’Italia di tenere il passo dei Paesi più innovativi: solo il 9,8% degli italiani ritiene che il gap cumulato in passato si sia ridotto negli ultimi anni. Per contro, un 15,3% di “iper-critici” sposa la tesi che l’Italia sia sprofondando tra i Paesi più arretrati d’Europa.
Se queste sono le posizioni estreme, la maggior parte degli intervistati sceglie un profilo intermedio: c’è chi ritiene che il Paese faccia molta fatica, pur a fronte di alcune eccellenze (44,6%), e chi pensa che certi processi siano inevitabili e che l’Italia sia un po’ al traino (29,6%).
L’italia fuori dalla Rete: i rischi di esclusione e il digital divide
Il 6,4% degli intervistati riferisce di aver usato Internet solo alcune volte nell’arco degli ultimi 30 giorni o mai. È possibile stimare che siano oltre 3 milioni gli italiani dai 18 agli 80 anni che si sono connessi molto raramente alla rete, utilizzando marginalmente tutti i servizi e le opportunità che il digitale mette a disposizione.
Circa 900 mila persone, quasi un terzo di chi si è connesso poche volte negli ultimi 30 giorni (29,6%), si sentono svantaggiate rispetto a chi si connette con maggior frequenza. Questi cittadini ricorrono ad amici, parenti o conoscenti (67,6%) o ad intermediari specializzati quali patronati o Caf (23,5%) in caso sia necessario collegarsi ad internet o per usufruire di servizi online: dunque in atto un processo di “solidarietà intergenerazionale” fra chi è in grado di utilizzare i servizi digitali e chi, per l’età avanzata o per difficoltà economiche e culturali, non riesce a rimanere al passo con le innovazioni.
Sì alla web tax, ma attenti ai contraccolpi
Oltre la metà degli italiani (il 55%) ritiene opportuno introdurre una legge per tassare i profitti generati in Italia dai ‘grandi‘ del web. Il 17,5% è contrario e il 27,6% ritiene che la questione dovrebbe essere demandata a un livello sovranazionale come può essere l’Unione Europea.
Il consenso alla web tax non è uniforme in tutte le fasce di età: tra i più giovani, under 34, è più bassa la quota di chi è d’accordo con l’istituzione di una tassa ad hoc. Inoltre, molti mettono in guardia anche sul contraccolpo che una tassa potrebbe generare: più di un giovane su 4 ha il timore che una web taxpossa far diventare i servizi offerti dai big a pagamento o ancora più costosi e meno convenienti rispetto ad oggi.